Quando le statistiche non contano: 10 Re senza corona della Formula 1 (parte 1)

Da quando è nata la Formula 1 si è sempre avuto il desiderio di confrontare piloti, auto, epoche diverse. Ma non sempre i numeri riescono a dare giustizia a piloti che sono comunque entrati nei cuori degli appassionati. Ecco alcuni dei “Re senza corona”. 

di Giuseppe Gomes

Michele Alboreto

in Formula 1 dal 1981 al 1994 (5 vittorie)

Ultimo pilota italiano a vincere a bordo di una Ferrari. Pilota di un talento assoluto, in grado di impressionare il Drake durante la sua avventura in Tyrrell, durata 3 anni, passando in Ferrari, dove sfiorò il titolo nel 1985. Lo sfiorò soltanto perché, dal GP d’Italia in poi, il rendimento della Ferrari crollò, consegnando di fatto il mondiale a Alain Prost e alla sua McLaren TAG Porsche. Da li in poi un lento declino nella massima Formula, ma con soddisfazioni da altre categorie, andando a vincere la 24 ore di Le Mans del 1997 a bordo di una TWR-Porsche WSC-95. Morì nel 1991, al Lausitzring durante il collaudo della R8, la barchetta Audi che, di li a poco, avrebbe cominciato un lungo dominio nelle gare endurance. Così lo ricorda Giancarlo Minardi sulle pagine di Auto Sprint: ”Michele non ebbe fortuna quando ne avrebbe avuto bisogno. Capitò alla Ferrari nel momento più difficile e l’anno dopo, nel 1985, perse un mondiale senza sbagliare nulla. Infine, a quasi 45 anni, ebbe quell’incidente non per colpa sua, lui che era uno che sbatteva il meno possibile».

Per approfondire: 

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Robert Kubica

in Formula 1 dal 2006 al 2010 (1 vittoria)

La carriera in Formula 1 di Robert Kubica, primo polacco al volante di una monoposto di Formula 1, si è interrotta nel momento in cui, probabilmente, stava per toccare l’apice, con un probabile passaggio dalla Renault alla Ferrari. Una carriera nella quale, il talentuoso pilota di Cracovia, aveva dimostrato di avere le carte in regola per poter competere con i migliori. La sua avventura in Formula 1 partì in BMW- Sauber nel 2006. Erano gli anni in cui Ferrari, McLaren e Renault, dominavano la scena, alternandosi nelle vittorie nei mondiali. Riuscì a portare a casa una vittoria al GP del Canada 2008, dove l’anno prima era stato protagonista di un incedente spettacolare, che lo costrinse a saltare il GP successivo, quello di Indianapolis (dove fece il suo esordio Sebastian Vettel. n.d.r.). Nel 2010 passò in Renault, dove collezionò grandi risultati nonostante una vettura nata male e cresciuta peggio, a causa dei guai finanziari del team. Poi venne l’incidente al Rally Ronde, in Liguria che chiuse definitivamente la sua carriera in Formula 1. Di lui resta il rammarico, tra gli appassionati, per non averlo visto in azione su una vettura realmente competitiva.

Per approfondire:

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Stefan Bellof

in Formula 1 dal 1984 al 1985 (0 vittorie)

 

Nonostante la sua presenza in Formula 1 fu brevissima, il pilota tedesco viene ritenuto, da tanti, uno dei più grandi piloti di tutti i tempi. Basti sapere che è suo il record sulla pista più pericolosa del mondo: il Nurburgring Nordschleife, con un tempo di 6’.11”, record tuttora imbattuto, a bordo di una Porsche 956. Un pilota di tale caratura non poteva non arrivare in Formula 1, ma solo il marketing lo portò in un team minore come Tyrrell, infatti, Belloff, ebbe la possibilità di effettuare un test a bordo della McLaren Honda, insieme ad un altro astro nascente dell’automobilismo, Ayrton Senna. Solo lo sponsor Rothmans ( allora era main sponsor della Porsche in endurance) si oppose fermamente ad un suo passaggio in McLaren, sponsorizzata Marlboro. Di lui, oltre al record del Nurburging, ci rimane quella incredibile rimonta a Monaco 1984, dove chiuse proprio alle spalle di Senna, subendo poi una squalifica, ma dimostrando che, a talento, non aveva nulla da invidiare a nessuno. Morì a Spa Francorchamps, all’Eau Rouge durante una delle sue amate gare endurance, in contatto di gara con Jacky Ickx, diventando uno dei più grandi talenti inespressi della Formula 1.

Per approfondire: 

Storia: 30 anni fa la scomparsa di Stefan Bellof

Juan Pablo Montoya

in Formula 1 dal 2001 al 2006 (7 vittorie)

Il più giovane campione di CART (acronimo di Championship Auto Racing Teams, categoria a ruote scoperte americana), avendo vinto al suo esordio a soli 24 anni. Nel 2001 viene chiamato da Frank Williams nella massima Formula, tentando un’operazione simile a quella che portò Jacques Villeneuve a vestirsi della stessa casacca. Bastano 3 gare al giovane colombiano per far capire di che pasta sia fatto, infilando un certo Michael Schumacher alla S do Senna, sul circuito di Interlagos, con una staccata incredibile. Nella stessa gara si intuì anche il più grande limite i Montoya, la sua irruenza, gettando al vento una vittoria sicura, doppiando l’Arrows di Jos Verstappen. Nella sua permanenza in Formula 1 arrivò anche in McLaren Mercedes, facendo da compagno di squadra a Kimi Raikkonen nella stagione 2005. La stagione successiva arrivò il divorzio con il team inglese, nonostante un ottimo secondo posto al GP di Monaco, con tanto di abbandono a metà campionato. Resta il fatto che Montoya è stato uno dei principali rivali per Michael Schumacher e la Ferrari, negli anni in cui il binomio italo tedesco era semplicemente inarrivabile, per questo, e per le sue manovre spesso al limite del regolamento, il colombiano è rimasto nel cuore di tanti appassionati.

Per approfondire:

Storia: Monza 2001, Montoya e quel legame con gli USA

Gilles Villeneuve

in Formula 1 dal 1977 al 1982 (6 vittorie)

“Perché con tanti piloti bravi, Ferrari ha preso uno come me?”. Con questa frase, riportataci da Carlo Cavicchi all’interno della trasmissione Pit Talk, Gilles Villeneuve si presentò ai media italiani. Con il senno di poi possiamo dire che, partendo dalle gare di motoslitte in Canada, Gilles ha dimostrato di essere uno dei piloti più spettacolari ed irruenti dietro al volante di una monoposto. Un pilota dotato di un talento incredibile, che gli permetteva di portare puntualmente la sua vettura oltre ogni limite, spesso esagerando, ma altrettante volte scrivendo pagine di motorsport impareggiabili, come il ruota a ruota con Arnoux, o le battaglie con Lauda e Pironi ad Imola. Proprio da quel ruota a ruota il canadese non seppe riprendersi, segnando il week end successivo, quello di Zolder. Durante le qualifiche del GP del Belgio, Villeneuve si scontrò con la March di Jochen Mass. Da allora il numero 27 è diventato una vera e propria icona, di quello spirito di guida estremo, votato a superare continuamente il proprio limite. Questo il ricordo di Jody Schecter al funerale del canadese: “Gilles mi mancherà per due motivi. Primo, lui era il pilota più veloce della storia delle corse automobilistiche. Secondo, era l’uomo più genuino che abbia mai conosciuto. Ma lui non se n’è andato. La memoria di quello che ha fatto sarà sempre qui.”

Per approfondire: 

 Gilles Villeneuve e un dialogo con il limite che non dimenticheremo mai

Le acrobazie di Villeneuve in Austria

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