Shadow, una lunga avventura in Formula 1 firmata Dan Nichols

From rags to riches… and back to rags. La parabola di un team di Formula 1 attraversa, salvo rari casi, un momento iniziale di difficoltà, con una successiva ascesa e poi, forse, un inevitabile declino. Tutto in altalena, tutto rinchiuso in questa magica storia che continua. Alcune avventure sono lunghe, altre più brevi; alcune più prestigiose, altre meno. Alcune fatte da squadre organizzate, altre da pionieri non meno degni di nota. E quando la sfida viene lanciata da lontano suscita sempre non poco interesse. E’ il caso della Shadow, una delle prime scuderie americane sbarcate nella massima formula europea partendo dalla CanAm, categoria nella quale la Shadow ha esordito.

I risultati inizialmente non furono incoraggianti, visto che la prima “trovata” di Nichols, quella cioè di usare ruote più piccole, non avrà grande successo; sarà però con l’avvento della TI22 affidata a Jackie Oliver, realizzata in titanio, vettura che dominerà la stagione 1974, dopo che Porsche e McLaren hanno abbandonato la categoria. Ma la sfida americana di Don Nichols non si ferma alle gare nel proprio continente; infatti, mentre stava mettendosi in mostra nella CanAm, decide di sbarcare in Formula 1 grazie anche alla partnership con la Universal Oil Products e stavolta affida il disegno della propria monoposto a un astro nascente del tecnigrafo inglese, Tony Southgate, che aveva appena conquistato il secondo posto nel Mondiale 1971 con la BRM. Nichols potrebbe quasi essere definito un americano con un debole per gli inglesi (ma fino a un certo punto), tanto che Southgate inizierà a fare quello che alcuni decenni più tardi farà John Barnard in Ferrari, ovverosia progettare le vetture in Inghilterra. 


E i fatti gli daranno ragione, visto che la DN1, prima monoposto che Nichols schiererà in Formula 1 con Jackie Oliver e George Follmer, si rivelerà subito competitiva, sorprendendo tutti con un terzo posto al Montjuic, risultato replicato da Oliver diverse gare più tardi, in Canada. La monoposto verrà affidata anche alle mani di Graham Hill, che si schiererà con la vettura americana nel corso della stagione nel team che portava il suo nome. Nichols però ha il sospetto che la troppa vicinanza di Southgate alla factory della BRM potesse in qualche modo fornire dei vantaggi alla diretta rivale e allora decide di richiamarlo negli States, facendo dunque tutto “in-house”, dato che per la motorizzazione si decise di adottare un classico V8 Ford.