F1 | Sudafrica 1973: il coraggio di Hailwood salva Regazzoni

 

Un altro incidente drammatico e che per fortuna ma anche per tanto coraggio ed umanità di una persona, non si risolse in un dramma. Questa persona è Mike Hailwood. Salvò la vita a Clay Regazzoni portandolo via dalle fiamme della sua auto. 

 

Il fuoco, nelle corse, ha sempre rappresentato il pericolo numero 1 fin dalla cosiddetta golden age, gli anni d’oro della F1. Le stesse macchine erano delle vere e proprie trappole di benzina: bastava un minimo urto per innescare un rogo da trasformare le monoposto in vere e proprie torce. Spesso con all’interno il proprio pilota.


Sotto questo aspetto il 1973 fu l’anno peggiore. Tutto ebbe inizio al GP del Sudafrica, in quel di Kyalami, una pista molto diversa rispetto a quella che possiamo ammirare oggi.


In quell’edizione il dramma venne solo sfiorato. Alla partenza della corsa Denny Hulme scattò in testa, Regazzoni si avviò lentamente e venne superato dall’idolo locale Jody Scheckter.

Arrivati appena al secondo giro ecco il fattaccio: il duo di testa faceva gara a se mentre dietro, in piena rimonta, ecco che accadde una collisione tra Regazoni, Ickx e Hailwood.


Ebbe la peggio il ticinese. La sua BRM, colpita nella parte anteriore, prese fuoco e il pilota all’interno era immobile, svenuto e avvolto dalle fiamme sprigionate dalla benzina caduta sugli scarichi roventi.

Come al solito in questi casi, furono attimi che parevano interminabili. Clay Regazzoni stava seriamente rischiando di perdere la vita. E come capitava spesso in quel periodo, i soccorsi erano tardivi e del tutto inadeguati.


Ma anche in quel caso, l’aiuto venne proprio da un collega di Regazzoni. Uno che ne condivideva i rischi in pista. I piloti erano quelli che più di tutti erano sensibili ai temi del rischio perché erano proprio loro a rischiare la pelle. E quindi ecco che, eroico, Hailwood si lanciò nelle fiamme, liberò Regazzoni dalle cinture e cercò di estrarlo dalle lamiere incandescenti.

 

Il contatto con con la monoposto infuocata provocò a sua volta un principio d’incendio alla tuta di Hailwood che, nonostante il pericolo crescente, riuscì a portare Regazzoni fuori dall’abitacolo riuscendo ad estinguere anche le fiamme dalla propria tuta, aiutato anche dai commissari di percorso, intervenuti finalmente. 

 

Il dramma, solo sfiorato, non mise in secondo piano l’impresa di Jackie Stewart che, partito dalla settima fila con la monoposto del compagno Cevert, in sei giri si portò a ridosso dei primi e – nonostante le bandiere bianche e le bandiere blu (per invitare a prestare attenzione agli ostacoli e lasciare strada ai mezzi di soccorso) esposte in pista – superò di slancio i propri avversari portandosi in testa alla gara.

Il team McLaren non voleva accettare questo sopruso ed espose reclamo contro la condotta dello scozzese che, per difendersi a sua volta, a fine corsa riferì ai commissari e ai suoi accusatori che l’esposizione della bandiera blu aveva per implicito che ogni tentativo di sorpasso fosse valido e che comunque il luogo dell’incidente era molto lontano dal punto di esposizione di quelle bandiere. Il risultato fu convalidato.

 

L’impresa dello scozzese, polemiche comprese, pose serie domande a tutto il circus: le norme erano uguali per tutti? Se non fosse stato l’alfiere della Tyrrell a subire le bandiere ma uno dei tanti piloti comprimari, i commissari avrebbero accettato le scuse del pilota a fine corsa? Il risultato finale sarebbe cambiato? 

 

In realtà la Federazione non aveva la forza di punire il miglior pilota in pista ma l’aspetto più grave è che sembrava non voler dare importanza all’incidente, considerando il rischio e l’eventuale impatto come componenti di ogni gara. Era il periodo in cui la si pensava cosi, anche per per non perdere fascino e audience.

Presto però la F1 si sarebbe resa conto che le cose stanno dovevano cambiare. E di li a qualche tempo sarebbe stato proprio Jackie Stewart a governare questo cambiamento…

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