Dall’HALO allo Shield: è questa la strada per una F1 sicura?

Per definizione, le monoposto, per essere definite Formula, sono prive di tetto, e prive di qualsiasi altra forma di protezione frontale, unica costante nella storia della Formula 1, dalla prima monoposto del 1948 all’ultima del 2017 (proprio come la Maserati 6CM di Franco Cortese e la McLaren Honda MCL 32 di Stoffel Vandoorne, scelte come foto di copertina). Ma l’episodio di Suzuka è stato il punto di partenza nel reale sviluppo di soluzioni poste a proteggere, nel miglior modo possibile l’abitacolo. Primo di tutti? L’HALO, un sistema che, attraverso un pilone centrale e due laterali, andava a formare una struttura poco più in alto del casco del pilota. A prescindere dal dubbio gusto estetico, una soluzione del genere trovò subito grandi criticità, soprattutto in caso di capottamento, rendendo le manovre di recupero del pilota molto più complicate. Nonostante tutto, questo genere di proposta, riuscì addirittura a scendere in pista, sulle scocche di Ferrari, Haas, Force India, Sauber, Renault e Red Bull che, poco prima, aveva mostra la sua di soluzione, l’Aeroscreen, ancora più brutto e scomodo rispetto all’Halo. Prima doveva esordire ufficialmente nel 2017, ora si è passati al 2018, con una nuova proposta: lo Shield. In sintesi è un piccolo parabrezza, che parte poco più in alto dell’attacco del musetto e arriva i margini dell’abitacolo.

Sicuramente una soluzione meno invadente ed anche più piacevole rispetto a quelle viste fino ad oggi, ma che lascia un importante interrogativo: è davvero necessario? È necessario che la FIA e i team lavorino per trovare soluzioni di questo genere per salvaguardare la salute dei piloti? Riprendo le parole di Mario Donnini, storica firma di Auto Sprint e Moto Sprint, che, nella sua rubrica “sterzi a parte”, fa una chiara fotografia della situazione:

Caso strano, nell’anno in cui il Pontefice ha deciso di utilizzare sempre meno la papamobile schermata, la Fia continua a insistere sulle protezioni al pilota per le monoposto di Formula Uno. Evidentemente a fronte di chi coraggio ne ha da vendere, c’è pure chi si suppone ne abbia sempre di meno. Anche se, visti i ruoli, la capacità di sopportazione dell’indice di rischio tra Papa e top driver dell’automobilismo dovrebbe essere ben diversamente distribuita.” 

Più chiaro di così…forse questa frenesia per la sicurezza sta facendo perdere il vero nòcciolo della questione: la Formula 1 è uno sport pericoloso, nella sua storia e nel suo futuro i piloti saranno sempre esposti a gravi rischi, che diminuiranno drasticamente se si punterà a circuiti più sicuri (il caso di Baku è ai limiti del ridicolo, con rettilinei infiniti, velocità di punta elevatissime e vie di fuga in alcuni tratti inesistenti [vedi secondo settore]), e ad evitare che, situazioni come quelle di Suzuka, non si ripetano mai più, senza dover arrivare a snaturare le monoposto di Formula 1.