F1 | “Vite di corsa” di Pino Allievi, intervista all’autore

In occasione del Modena Motor Gallery, vero e proprio antipasto del Motor show, abbiamo raggiunto la prestigiosa firma Pino Allievi per parlare con lui del suo ultimo libro, “Vite di corsa”, presentato in compagnia dell’editore Giorgio Nada e di Luca Dal Monte, autore della monumentale opera “Ferrari Rex” (presentata di recente su F1Sport.it l’intervista a lui dedicata). Dalla conversazione con Allievi sono emersi anche temi che esulano dalla sua ultima opera.

Di Alessandro Bucci

Già ospite della nostra trasmissione radiofonica Pit Talk, il famosissimo giornalista Pino Allievi (commentatore-editorialista de La Gazzetta dello Sport e opinionista Rai) ha da poco dato alla luce la sua ultima fatica editoriale intitolata “Vite di corsa”, pubblicato da Giorgio Nada Editore. Uno spaccato dei personaggi più significativi e stravaganti che Allievi ha incontrato nel corso della sua lunghissima carriera spesa nel mondo delle corse e dello sport. Da Gianni e Giovannino Agnelli per arrivare a Gilles e Jacques Villeneuve, da Mario e Vittorio Cecchi Gori a Carlos Menem…”Vite di corsa” si legge tutto d’un fiato e ci trascina letteralmente negli ultimi quarant’anni della Formula 1. Un vero e proprio fiume in piena che non considera i riferimenti temporali preferendo fornire un insieme variopinto e variegato, quasi invitando metaforicamente il lettore all’interno di un salotto dove poter chiacchierare amabilmente. Sedetevi comodi e godetevi l’intervista.

Allievi, attraverso il racconto delle sue storie professionali all’interno del circus, emergono sia aspetti umani, sia quelli legati in particolar modo al mondo della Formula 1, per cercare di trasmettere al lettore del giorno d’oggi, abituato a comunicati stampa poco originali, una dimensione che forse manca molto anche alla Formula 1…

Sì è vero, manca molto alla Formula 1 e manca molto ai giornalisti che devono trasferire tutto questo agli appassionati. Effettivamente io narro molto di una Formula 1 di ieri, dove non c’era l’invadenza degli addetti stampa, non c’era l’invadenza delle scuderie, in cui si riusciva a trasmettere un’immagine della Formula 1 più bella, più umana, più coraggiosa, più vitale e più reale. La Formula 1 degli ultimi quattro-cinque anni è degenerata e lo si vede anche dalle audience televisive e dall’interesse sui giornali che è notevolmente calato. Nell’era Schumacher sono iniziate ad andar male le cose in questo senso, da allora sono notevolmente peggiorate e oggi si va di male in peggio.

Ci può raccontare il suo rapporto con Enzo Ferrari? Nel capitolo del libro dedicato al Drake, il passaggio che riguarda la vostra telefonata a Buenos Aires è esilarante.

Di Enzo Ferrari ormai hanno parlato ampiamente tutti. Io con lui avevo un ottimo rapporto. Era una persona che amava molto dire le cose e non vederle pubblicate. Capivo cosa non voleva che fosse pubblicato e da lì è nato un forte legame in cui mi ha sempre confidato tantissime cose delle quali io ho scritto solo una parte. Personalmente sono stato contento, i miei direttori molto di meno (ride ndr). Ferrari era un personaggio talmente straripante e spinoso che meritava di avere un’attenzione diversa da tutti gli altri. E poi era giusto mantenere una certa distanza di rispetto nei confronti di un personaggio che era veramente unico. Penso di non averlo mai tradito.

Per quanto riguarda l'”altro Ferrari”, Gian Paolo Dallara?

Dallara è un personaggio diverso. Arriva tre generazioni dopo Ferrari ed è l’opposto. Ferrari era abbastanza esibizionista, mentre Gian Paolo Dallara no: è un uomo che preferisce fare quattro passi indietro, un po’ come Piero Ferrari. Non è un caso che i due vadano molto d’accordo. Sono persone che non amano la ribalta ed amano piuttosto “il fare”.  Entrambi sono molto bravi, molto profondi e molto introversi. Dallara è un personaggio straordinario, una persona di un’umanità fuori dal comune e di una cultura stratosferica. Con Gian Paolo si parla sempre di altre cose e così non c’è tempo di parlare di automobili (ride ndr). E’ uno dei più grandi personaggi dell’Italia moderna, non solo dell’automobilismo.

In “Vite di Corsa” lei sostiene che Lewis Hamilton sia l’unico personaggio della Formula 1 contemporanea, il solo che può ricordare in qualche modo certe personalità del passato.

Hamilton-2016_aE’ un ragazzo che si vuole proporre come personaggio, quindi c’è una parte artefatta in lui. Sotto però c’è una storia vera, di uno che è venuto dal nulla, figlio di emigranti provenienti dall’isola di Grenada, gente che ha fatto una fatica pazzesca. Pensate che il padre faceva tre lavori per mantenere Lewis. Adesso Hamilton è un po’ sopra le righe, ma è la dimostrazione che con la volontà e con il talento si riesce ad arrivare. Ed è una dimostrazione, senza gli eccessi, un po’ per tutti. Hamilton ad un certo punto si è innamorato del mondo di Hollywood dove tutto è celluloide e dove tutto è finzione. Gli piace fare il personaggio, ma il vero Hamilton è molto più personaggio del personaggio che vende.

Un pensiero su Ayrton Senna e Michael Schumacher, due campioni che albergano nell’Olimpo della massima serie.

Mi auguro che un giorno Michael Schumacher possa guardare il libro, non dico leggerlo, però quantomeno riconoscersi. E’ l’augurio più grande che posso fare a Michael. Quanto a Senna, ho solo raccontato degli episodi molto personali, tanti altri hanno scritto libri, c’è già tutto su Ayrton.