F1 | Ferrari, Forghieri e la macchina del tempo

La Ferrari è stata spesso punto di riferimento soprattutto dal punto di vista motoristico e meccanico. Ed un tempo pur con una macchina ai vertici si continuavano a sperimentare soluzioni che la mente sopraffina di Forghieri era riuscita a partorire.

A Fiorano, un “cinguettio” attirò una miriade di di persone che, nonostante il freddo,  non esitò a sporgersi dalle reti che delimitavano la pista per vedere la Ferrari F1 turbo. Non era la macchina nuova, la presentazione della C2 era già stata fissata, ma una CK laboratorio con alla guida il collaudatore Giorgio Enrico.

Per i curiosi e i tifosi era una Ferrari rossa, ma senza numeri di gara e con strani segni sulla carrozzeria; le stranezze non erano finite li: quella vettura la si potrebbe quasi considerare una macchina del tempo perché dopo tanti anni e tanti successi, la Ferrari stava pensando di rispolverare la trasmissione longitudinale al posto della trasversale che tante soddisfazioni aveva portato.

Un po’ il freddo un po’ il perché il collaudatore doveva macinare chilometri senza cercare la prestazione assoluta lasciarono il pubblico deluso e quando si lesse, sui quotidiani sportivi del giorno dopo dell’esperimento, si premurarono a bocciarlo categoricamente.

La nuova nata di Maranello, la C2, era dotata della classica trasmissione trasversale ma il progetto di dotarla del cambio longitudinale non fu sospeso ma solo rimandato.

La macchina dell’82, praticamente imbattibile, solo la sfortuna ci riuscì, dovette essere rivista completamente in virtù del cambio regolamentare, l’ennesimo, deciso dalla federazione sul finire della stagione in corso.

L’introduzione del fondo piatto, indebolì non poco la Ferrari, che si vide obbligata a riprogettare la propria arma ribattezzandola C3 e presentandola alla stampa a campionato 1983 iniziato.

La mancanza dell’effetto suolo e qualche difficoltà di adattamento alle nuove gomme radiali Goodyear, obbligarono Forgheri a montare una trasmissione longitudinale su una C2 laboratorio affidandola a Tambay per dei collaudi estenuanti a Fiorano.

La coppia di piloti rappresentata da Arnoux e Tambay ricordavano, molto alla lontana, quella del 1978 con Villeneuve grintoso seppure nuovo dell’ambiente e Reutemann, detto Lole, più esperto ed affidabile in sede di collaudo. Tambay, infatti, venne sempre preferito al proprio compagno, per le sue doti di collaudatore instancabile e per la sua precisione a raccontare le sensazioni della vettura. Purtroppo una sua ritrosia a partire bene e, perché no, qualche soldo promesso dalla Csai , lo condannarono a lasciare la Ferrari a favore di Michele Alboreto.

Più rapido negli innesti, il nuovo cambio colpì positivamente i piloti, che insistettero per usarlo in gara quanto prima. L’ambiente Ferrari di allora, vista la posizione di testa nel campionato, decise di frenare sull’utilizzo concentrandosi maggiormente sulle sospensioni e sull’overboost del motore. Quello fu un errore strategico rilevante. La Ferrari si accordò con la Brabham per avere i disegni delle sospensioni in cambio di quelli dell’alettone posteriore. A quei tempi era prassi che le squadre avessero degli scambi di natura tecnica, col risultato che da quel momento la Ferrari consumò un po meno le gomme ma la Brabham, forte del suo carburante irregolare, potè sfruttare al meglio la propria velocità in curva senza troppo penalizzarla in rettilineo.

Nonostante fosse viziato da un evidente irregolarità, per la prima volta in Formula 1 vennero introdotti i carburanti speciali: il campionato vide la vittoria di Piquet mentre la Ferrari si confermò campione tra i costruttori.

Il fresco titolo invece che di accelerare lo sviluppo della nuova trasmissione, e quindi anche della nuova veste aerodinamica, la bloccò. L’ingegner Ferrari era ancora convinto di avere una certa supremazia in fatto di motore tale da potersela giocare ad armi pari con Brabham e Renault: non aver considerato la McLaren, con l innovativa MP4, un avversario temibile fu un grave errore. Infatti dopo pochi Gran Premi tutto il circus capì che la scuderia di Ron Dennis di fatto apriva una nuova epoca, lasciando tutti gli avversari indietro di 10 anni.

In Ferrari la confusione regnò sovrana, l’ingegnere, ormai anziano, sembrò non governare più la gestione sportiva che si divise creando una nuova vettura denominata C4M2 con cambio longitudinale e pance con finale rastremato detto a Coca Cola. Tutto questo portò alle dimissioni di Forghieri e all’assunzione di potere da parte del ds Marco Piccinini. Ormai resosi conto che la mancanza di risultati non poteva essere corretta solo con una nuova veste aerodinamica, a stagione 84 in corso venne varato il progetto 85, che si rivelò una logica evoluzione della M2 e riuscì, nella prima parte della stagione 85 a confrontarsi ad armi pari con la temuta McLaren Porsche. I sorrisi, a Maranello si sprecavano, sembrò bastare un nuova aerodinamica e qualche cavallo in più per tornare ai vertici.

Ma fu solo lo scorrere di un attimo. La scuderia italiana era una piccola realtà gestita da persone ambiziose senza vision, infatti al primo sviluppo della 156/85, così era chiamata la nuova macchina, segnò il passo. Ci fu, addirittura, chi insinuò in Ferrari l’idea che la colpa di tutto ciò fosse ascrivibile alla KKK, fornitrice delle turbine sia a Ferrari che a Porsche, interessata a far vincere un motore tedesco. Il vecchio, con una delle sue famose decisioni fulminee, decise di passare dalle KKK alle Garret abbandonando di fatto ogni velleità di vittoria: le nuove turbine si rivelarono inadatte alle sollecitazioni di un motore da corsa di quella potenza.

La Ferrari imbattibile degli anni 70, col suo boxer e la sua trasmissione trasversale era ormai un ricordo sbiadito, nel corso degli anni, niente di quel mix vincente rimase. Le stesse Ferrari che si susseguirono dal 1986 in poi sembravano aver perso il proprio slancio innovativo fermandosi al nuovo cambio e poco altro in più.

L’età del suo fondatore e l’assenza di Forghieri lasciarono la Ferrari in un’altra epoca quasi fosse una nobile decaduta, orgogliosa del suo passato ma timorosa del proprio futuro.