F1 | Rivoluzione versus Restaurazione

Restaurazione. Sostantivo femminile, identifica l’azione del restaurare; o più comunemente, si riferisce al ristabilimento dell’assetto politico tradizionale dopo un’interruzione – in genere dopo una rivoluzione.

di Filippo Toffanin

La Restaurazione che ebbe inizio con il Congresso di Vienna del 1815 ad esempio servì ai sovrani assoluti d’Europa quale grimaldello atto a scardinare i cambiamenti che la Rivoluzione Francese prima, ed il periodo Napoleonico poi avevano portato nel Vecchio Continente. Si può dire che la storia sanguinosa delle prime decadi del Novecento Europeo vide le sue origini proprio in quel maldestro e anacronistico tentativo di ristabilire lo status quo da parte di una classe dirigente che allora (come oggi?) si mostrò miope e sorda a tutte quelle istanze che nulla avevano a che vedere con la preservazione del potere.

Restaurazione è dunque un termine sinistro, foriero di pericoli. Che sa di Ancien Régime, di illiberale, di stantio. Eppure, è quello di cui avrebbe bisogno la F1. Da più parti ormai arrivano segnali inequivocabili di un desiderio di cambiamento che trascende l’aspetto puramente sportivo: ingenuo credere che il problema sia esclusivamente il dominio Mercedes. Lo può essere al limite per i tifosi Ferrari, o per i fan oranje di Max Verstappen; ma nel profondo la battaglia è di natura puramente filosofica.

La F1 è da sempre il pinnacolo del motorsport, la sua categoria principe: vetta dello sviluppo tecnologico dell’automotive. Per vincere nelle gare di auto – a ruote scoperte e non solo – da sempre conta solo una cosa: essere più veloci dei propri avversari. Declinare il concetto di velocità significa capire che non è solo questione di quale dato rileva uno speedtrap sui rettilinei di Monza; si tratta di mettere sul piatto le capacità telaistiche, motoristiche, aerodinamiche e di affidabilità di una monoposto, e l’abilità del pilota che la guida di portarla al limite e oltre. Questa è sempre stata l’essenza di uno sport a cui tutti ci siamo appassionati. Eppure la rivoluzione turbo-hybrid del 2014 ha trasformato le competizioni in una corsa al risparmio. Risparmio di benzina, risparmio (e recupero) di energia, risparmio sull’usura delle componenti meccaniche – gomme comprese – per farle durare più a lungo. L’assurdo di gare in cui il tempo medio sul giro è quattro, cinque, sei secondi più lento di quanto visto il giorno prima in qualifica è uno dei tanti figli illegittimi dello snaturamento di questa contesa, con piloti ridotti ad automi che pigiano tasti per azionare questo o quel dispositivo, a contabili che devono tener conto dei consumi come farebbe il buon padre di famiglia per portare moglie e figli in vacanza d’estate.

Il sovrano Jean Todt, kafkiano nell’essere così sorprendentemente dimentico delle sue origini, questo ha imposto ai costruttori – con la chimera del contenimento dei costi sventolata al mondo come istituto di democratizzazione della categoria. Eppure un budget Mercedes oggi non è certamente inferiore a quello della Ferrari dominante dei primi anni Duemila. I test privati in pista, additati come il peggiore dei mali in termini finanziari per le squadre, non erano certo così più costosi di gallerie del vento e simulatori. Le scuderie sono aziende che impiegano centinaia se non migliaia di dipendenti, una forza lavoro che paragonata alle poche decine impiegate da Ecclestone e Murray ai tempi della Brabham fa rabbrividire. L’aver poi a più riprese brandito il sacro fuoco della sicurezza come simulacro da agitare in faccia a chi sommessamente chiedeva di tornare ad una maggiore libertà di gareggiare ha dello stucchevole. Intendiamoci: che si faccia tutto quello che è nelle possibilità tecniche e non per salvaguardare la vita dei piloti è non solo lecito, ma obbligatorio ed imprescindibile. Strumentalizzarlo per i propri scopi politici, quello è totalmente deprecabile.

Ora che però quel Wind of Change di cui cantavano gli Scorpions qualche anno fa soffia forte sulle piste di tutto il mondo, il Re Sole della FIA corre maldestramente ai ripari: dai rifornimenti all’effetto suolo, tutto sembra andare nella direzione di un cambiamento che dovrebbe essere epocale per la F1 del 2021. Eppure, come ben ha raccontato recentemente un grande giornalista e patito di gare come Mario Donnini ai microfoni di Pit Talk, il rischio concreto è quello di continuare ad alimentare una formula motore in cui Mercedes continuerà a far valere la propria supremazia, figlia di un vantaggio tecnologico e temporale di almeno due anni non così facilmente colmabile: se pensiamo che Ferrari in termini prestazionali è riuscita ad avvicinarsi solo nelle ultime due stagioni ai motoristi di Stoccarda, con altri grandi costruttori quali Honda e Renault che ancora arrancano, viene da chiedersi seriamente se le grandi rivoluzioni paventate non siano solamente fumo negli occhi degli appassionati di tutto il mondo. Se questa è la tanto decantata rivoluzione, allora ancor di più è di una restaurazione ciò di cui necessita la F1: la restaurazione di un natura imprescindibile, lo spirito della F1 che amarono i nostri padri e che rischia di perdersi definitivamente, vittima dell’ottusità di chi ne ha tradito il cuore e l’anima, anziché preservarli.

Filippo Toffanin