In questi giorni sta facendo scalpore la decisione presa da Nico Rosberg di ritirarsi da neo campione del mondo. Noi appassionati siamo rimasti colpiti da questa decisione: essendo abituati ai pluricampioni pensavamo che Rosberg fosse lanciato in una carriera inarrestabile corredata da diversi titoli mondiali.
Spesso ci dimentichiamo che la Formula 1 non è solo tecnica, anzi: proprio in questi frangenti ci rendiamo conto come l’aspetto umano riesca a renderla affascinante.
I campioni del mondo che si ritirano non sono una novità, abbiamo ancora negli occhi il ritiro da neo campione di Alain Prost, evento che non destò scalpore sia per l’età del transalpino, il francese era ormai prossimo ai 39 anni, sia perché il suo sostituto sarebbe stato Senna. La stampa congedò il francese e cominciò a tessere la tela delle congetture su quante gare avrebbe dominato il campione carioca e quanto il mondiale che andava a cominciare sarebbe stato solo una pura formalità per un campione di quel livello, su una macchina super competitiva.
Sfogliando la storia della Formula 1 non possiamo non ricordare di Scheckter che, dopo aver conquistato il titolo con la Ferrari a Monza, già dal successivo Gran Premio cominciò a manifestare dei sintomi di disagio e appagamento che ebbero il loro sfogo nella stagione 1980, dove complice una vettura non all’altezza e una certa demotivazione, finirono per costringere il campione sud africano a ritirarsi.
Il giorno dell’annuncio lasciò stupiti tutti. Chi non ricordava l’agguerrito Jody dei primi anni ’70 che faceva a gara con Peterson per la nomea di pilota più spericolato e grintoso e ,solo qualche anno dopo, con un titolo in tasca si rese conto che le corse non avevano più la priorità ma aveva scoperto dei valori che fino a quel momento erano rimasti sopiti?
Prima di Scheckter, nel 1973, toccò a Stewart, celebrato tricampione e detentore del record di vittorie, che al culmine della sua carriera, venne accostato a Clark non solo per la nazionalità ma anche per il suo stile pulito ed efficace di guida; forse spaventato dall’escalation che avevano preso le vetture, già a metà stagione l’incidente mortale di Williamson, cominciò a fargli concretizzare l’ipotesi di un ritiro a fine stagione e all’ultimo Gran Premio al Glen, colpito dall’improvvisa morte del compagno di squadra, nonché erede designato, Cevert, decise di smettere tuta e casco e lasciare imbattuto ma vivo senza neanche disputare l’ultimo Gran Premio.
Anche negli anni 50 due campioni decisero di ritirarsi senza avviso, improvvisamente, il primo fu Fangio che, forte dei suoi cinque titoli e spaventato da qualche uscita di pista di troppo, decise di ritirarsi imbattuto, spaventato, sono parole sue, dall’idea di dover decidere come impostare una curva a tutta velocità. L’altro fu Hawthorn che, sconvolto dalla morte di Musso e dell’amico Collins, una volta conquistato il titolo, annunciò alla stampa e alla Ferrari che era giunto il momento di dire basta e fermare una carriera fino a quel momento promettente di ulteriori successi.
Un destino beffardo lo aspettava nella brughiera inglese, dove andò a sbattere con la sua Jaguar trovando fuori dalle piste quello che dalle piste lo aveva fatto scappare.
La decisione di Rosberg rende a misura d’uomo uno sport che sembrava aver fatto dell’uomo un accessorio necessario solo a dare interviste, e lo rende simile ai grandi del passato che si sono ricordati di non essere solo piloti ma anche e soprattutto uomini.