F1 | Gli artisti del volante: gli anni ’70

Esauriti gli anni 60, nei successivi 70 anche la F1 non può esimersi di trasformarsi. Il classico pilota temerario e play boy stava  per essere soppiantato dalle nuove leve.

Fino al 1973 lo scozzese Jackie Stewart dominò la scena, col suo modo di guidare misurato mai sopra le righe, con una compagna fissa, ma soprattutto con un occhio particolare alla sicurezza delle macchine e delle piste. Nella guida non era spettacolare anzi, quasi non ti accorgevi della velocità che stava tenendo, però riusciva a rendere le macchine piu affidabili e si accontentava spesso di arrivare senza strafare.

Suo allievo fu Francois Cevert, di una bellezza da far perdere la testa anche alla Bardot: ormai stava ricalcando lo stile del suo maestro quando un eccesso di agonismo, o chissà forse un indisposizione fisica, lo portò nelle braccia della signora in nero al Glen, proprio mentre stava strappando la pole position allo svedese Ronnie Peterson, pilota grintoso ma di poche parole.

Con la morte di Cevert, Stewart lasciò il circus (decisione già presa prima della morte del compagno, che però lo spinse a non correre la sua gara numero 100) e la F1 dovette cercarsi un nuovo punto di riferimento.

Non bastava Emerson Fittipaldi, bravo a vincere ma non a convincere, per trascinare gli appassionati di F1; in aiuto al circus arrivò l’ennesimo ribaltone in casa Ferrari. Il Drake, ripresosi da una malattia che fece temere il peggio, ritorno sul trono e ridiede i pieni poteri a Forghieri, al quale affiancò un rampollo della galassia Agnelli, tal Montezemolo.

Enzo Ferrari soprattutto richiamò in squadra Regazzoni, danzatore, play boy e.. per hobby pilota, e un giovane autraico coi denti alla Freddy Mercury che subito dimostrò di che pasta era fatto.

Dopo pochi giri non ci pensò due volte a definire la Ferrari una macchina di m…, e con Forghieri si misero a creare un modello che con le sue evoluzioni arrivò vincente fino al 1979.

Nonostante Regazzoni nel 1974 fosse in grado di conquistare il titolo, meritatamente, tutta la Ferrari aveva capito che doveva seguire Lauda, questo il nome del novizio in rosso, che col suo metodo diede alla Ferrari un impronta piu industriale che artigiana come era stato fino a quel momento.

Di Niki Lauda si può dire tutto e il contrario di tutto, velocissimo solo quando serviva, ma dotato di una volontà granitica, amato dalle donne e rispettato dai grandi del passato: gli anni  a Maranello lo consacrano con super star di una F1 affamata di protagonisti.

L’incidente in Germania del 76 lo rese ancora piu’ grande. Rientrò 40 giorni dopo a Monza col volto ancora sanguinante e sfidò Hunt, il nuovo play boy da corsa dotato di una classe alla guida troppe volte sottovalutata, fino all’ultima gara, quando si ritirò per non rischiare la vita a causa della pioggia torrenziale.
E gli altri ? Degni di nota ci sono Ronniw Peterson, taciturno svedese che in condizioni precarie sapeva tenere la macchina al limite del sovrasterzo di potenza come a monza nel 76, vittorioso con una scarsa March davanti a un incredulo Regazzoni su Ferrari; oppure Andretti che, con la macchina giusta, sapeva essere un po’ Lauda e un po’ Peterson; per non dimenticare Scheckter, il Peterson Sud Africano, che fino a quel momento seppe conquistare mirabolanti vittorie ma non ancora il massimo alloro.

Mentre questi protagonisti cominciano a rendersi conto che alle loro doti personali serviva sicuramente un mezzo all’altezza, comparve sulla scena un ragazzino e fu subito febbre… La Febbre Villeneuve.
Assunto a sopresa dal comendator Ferrari come sostituto di Niki Lauda, emigrato su una scia di dollari alla Brabham Alfa, il canadesino si mise in luce per l’agonismo e un certo senso del limite non ancora consolidato, le uscite di strada, anche rovinose, lo portavano spesso sulle prime pagine dei giornali e ci volle la pervicavia del Vecchio ad insistere sicuro che le doti sarebbero uscite.

Le doti uscirono, il pubblico cominciò ad amarlo a Monza 1978 quando perse la gara, ma la F1 perse Peterson in un incidente dai connotati banali ma dagli esiti nefasti.

Soprattutto l’anno dopo quando alla guida della 312 t4 si mise in luce dimostrando una classe e combattività che non faticarono a riportare la F1 protagonista tra gli sport mondiali.
Alla fine della stagione 1979 Lauda, il computer, stanco lasciò il circus. Erano finiti i gloriosi anni 70.