F1 | I piloti Ferrari e la loro guida all’inzio dell’era turbo – prima parte

Analizziamo come i piloti della Ferrari adattarono la loro guida con i motori a doppia turbina ad inizio degli anni ’80. In questa prima parte tratteremo

Dopo la trionfante stagione 1979, per la successiva la Ferrari preparò un modello rivisto denominato 312 T5. Le prime gare, con prestazioni altalenanti ma incoraggianti, furono fuorvianti, e ben presto a Maranello si accorsero che l’evoluzione della monoposto vincente l’anno precedente era del tutto inadeguato a contendere la vittoria in pista alle agguerrite wing car. Dopo interminabili ore di riunione a  Maranello scoccò l’ora del turbo. Gli uomini di Enzo Ferrari vennero chiamati ad uno sforzo incredibile, perché oltre a gestire la fallimentare T5, si dovettero concentrare sull’evoluzione in pista del modello turbo il cui debutto era previsto per il Gran Premio d’Italia a settembre. Artefice dello sviluppo in pista fu Gilles Villeneuve, che già dal primo passaggio in pista, si accorse che avrebbe dovuto cambiare il proprio stile di guida, per meglio interpretare la monoposto che stava compiendo i primi passi a Fiorano.

La Ferrari 126 CK, questa la sigla della prima vettura, era ancora dotata di minigonne ed in pratica era una T5 evoluta, al suo debutto a Imola, sede del GP d’Italia del 1980, non sfigurò in prova, andando più veloce della versione a motore atmosferico; la voglia di ben figurare nel Gran Premio di casa però fu tale per cui la Ferrari decise di non schierarla.

A Fiorano, Villenueve si produsse in una serie di collaudi infinita e dall’esterno si cominciò a capire che il canadesino stava imparando a guidare una monoposto che al tornantino usciva lentamente, per poi riprendere ad un tratto tutta la potenza accompagnata dal tipico cinguettio della ventola del turbo.

Ma in che cosa consisteva cambiare il tipo di guida? Per chi come il canadese proveniva dalle motoslitte sembrò quasi un ritorno al passato. Istintivamente cambio piede per frenare, imparò a usare il destro, capì che la macchina doveva entrare alla corda della curva prima della naturale impostazione e pian piano lasciava il posteriore sbandare sfruttandone l’accelerazione. Questo portava ad avere una macchina pronta sul dritto ad accelerare senza subire ritardi di risposta. Il nuovo compagno di squadra, Pironi, aveva tutt’altro atteggiamento e fin dalle prime battute evidenziò un incapacità ad adattarsi al nuovo stile di guida. Il francese era solito pretendere un anteriore molto preciso in inserimento in curva che gli permettesse di percorrerla alla massima velocità consentita. Con la prima macchina turbo questo era praticamente impossibile: l’anteriore non era preciso e, a causa dei correttori d’assetto poco efficienti, la macchina in curva tendeva a cambiare assetto annullando di fatto i pregi della guida del transalpino.

Nonostante questi handicap iniziali, l’istinto superiore del canadese a Monaco regalò alla Ferrari una prestazione degna degli annali delle corse: è scolpita nella mente la Ferrari che intraversa nelle curve per poi mantenere la linea in uscita accelerando; fu grazie a questo stile sopra le righe che Gilles si avvicinò ad Alan Jones in rettilineo e lo passò in ingresso curva, per andare a vincere sul circuito meno adatto a un motore sovralimentato. Tre settimane dopo si replicò in Spagna dove ad una accelerazione bruciante unì un controllo al limite della guida rallistica che non permise agli avversari di avvicinarsi, anzi riuscì addirittura a distaccarli in rettilineo fino a dominarli per 66 giri.

Un altro saggio di come la guida del canadese si adattò al meglio al destriero rosso che portava in pista fu in Canada dove, sfruttando la pioggia guidò costantemente di traverso, rimanendo in pista in condizioni estreme e riuscendo ad arpionare un terzo posto quasi miracoloso, visti danni della macchina. Pironi, mentre il suo compagno di squadra faceva l’equilibrista sull’acqua quasi fosse su un filo sospeso nel vuoto, naufragò con la sua Ferrari ballerina ed i testacoda non si contarono quasi fosse una gara di valzer.  Con due piloti fortissimi, a Maranello c’era la consapevolezza di dover avere una macchina all’altezza.  La 126 C2 lo fu subito. Con una macchina, finalmente perfetta, l’unica cosa che rendeva di nuovo la guida precaria fu l’adattarsi alle nuove coperture Goodyear. Infatti , grazie al ritorno delle minigonne i due ferraristi si trovarono nella condizione di guidare in piena accelerazione sempre, l’unico limite furono le nuove gomme che sembravano non resistere alle brucianti accelerazioni che i piloti imponevano alla macchina.

In Brasile Gilles diede un saggio della sua guida resistendo in testa per 29 giri davanti a Williams e Brabham, ma mentre la sua guida raggiungeva punte eccezionali, le sue gomme si consumavano così velocemente da farlo finire fuori pista in modo inglorioso. A Long Beach, le basse medie preservarono le coperture e Gilles, sempre lui, riuscì a concludere terzo.  Rimasto solo a causa del noto incidente che ci portò via il canadese, Pironi poté indirizzare lo sviluppo della macchina fino a farla adattare al meglio al suo stile: infatti la sospensione anteriore nuova, permise alla macchina di entrare in curva in modo preciso, direi chirurgico, e il giusto bilanciamento tra anteriore e posteriore permise al transalpino di percorrere i curvoni veloci in modo impressionante. In Olanda attaccò la Renault di Prost all’ingresso della Tarzan con una velocità di esecuzione da far sembrare la macchina francese una monoposto di categoria inferiore. D’altronde Ferrari rimase colpito dalla velocità che Pironi mise in mostra nel 1980 e ora, in questo scorcio di stagione sembrò aver ritrovato il suo campione. Un campione che si perse in Germania in un  tragico incidente che fermò la sua rincorsa al titolo e la sua carriera in F1.

Tambay, sostituto di Villeneuve, inizialmente mal si adattava alla guida di una macchina turbo, forse anche per i suoi problemi fisici; infatti riuscì a guidare la macchina in modo egregio nelle piste veloci, Austria Germania e Monza, mentre dovette arrendersi a Las Vegas. Andretti, a Monza, resosi conto che la variabile gomme poteva rivelarsi insidiosa, fece una scelta di pneumatici mista (le dure in appoggio, le morbide sull’altro asse) che rese la macchina veloce e poco suscettibile al degrado delle gomme. Anche l’italo americano sembrò adattarsi meglio a una pista veloce mentre nel successivo Gran Premio, a Las Vegas, il turbo lag incise in maniera negativa la prestazione dell’americano.

A concludere questo excursus tecnico e di pilotiaggio, ricordiamo che la guida ai tempi del turbo era molto diversa rispetto ai motori aspirati, diventando una forma d’arte simbiotica con la vettura.