F1 | Ferrari, una storia di uomini e di macchine: il ritorno di Montezemolo

Penultimo capitolo della storia della Ferrari: arrivano Luca Cordero di Montezemolo e Jean Todt.

Archiviato il 1988, l’anno orribilis per tutto il movimento automobilistico e la Ferrari stessa, la Fiat si ritrovò l’ingrato compito di riorganizzare e dare una mentalità vincente a un reparto corse che più d’uno a Torino avrebbe volentieri chiuso. Romiti, accarezzò l’idea, ma la strada voluta dal fondatore della Ferrari era talmente delineata e vincolante che decise che, invece di chiudere il reparto corse, lo avrebbe affidato a Cesare Fiorio, uomo Fiat Lancia, esperto di corse e dotato di una grande vision.

Approvata la scelta dei piloti per la stagione 1989, Berger e Mansell , Fiorio si instaurò al vertice della Gestione Sportiva, dove non potè non notare la presenza di una squadra demoralizzata, divisa tra l’anima inglese capitanata dal progettista Barnard e quella italiana, di fatto commissariata da quella inglese. La prima decisione che prese fu quella di avvallare l’installazione del cambio elettroattuato a leve sul volante, un progetto di Mauro Forghieri, e, per quanto possibile di riportare Maranello al centro del progetto. All’innovativo cambio venne unito un v12 potentissimo: ricordiamo che i motori turbo vennero essi al bando, e alla presentazione, oltre a qualche dubbio sulla tenuta della trasmissione, i giornalisti notarono che la macchina risultò bellissima e, alla guida di Mansell, anche veloce. Gli estenuanti collaudi furono portati avanti da Moreno, collaudatore e pilota di F1, e dai due piloti titolari tutti concordi che la macchina nel complesso era nata molto bene ma la precarietà della trasmissione era tale da non permettere nessun sogno di gloria.

Cesare Fiorio, venne tentato dal sostituire la trasmissione semiautomatica con una più tradizionale a cloche, ma venne dissuaso subito. Una trasmissione tradizionale non avrebbe trovato lo spazio necessario per essere montata dentro la monoposto. Si arrivò alla prima gara dell’anno in Brasile, il giorno di Pasqua, con una Ferrari acerba e poco speranzosa. Nei primi turni di prove la macchina percorse pochissimi giri prima di fermarsi lungo il tracciato, tanto da far temere per la gara una figuraccia in mondo visione.
Con in pole position il solito Senna, il Gran Premio del Brasile si aprì con l’enigma di quanti giri avrebbe fatto la Ferrari prima di fermarsi ma allo scattare del verde, Berger con un balzo quasi felino si ritrovò a condividere la prima curva col fenomeno carioca che strinse, provocando l’uscita di pista e il conseguente ritiro per entrambi. La prima delle due Ferrari si ritirò mentre contendeva la prima posizione a Senna. E la seconda? Mansell grintoso risalì posizioni su posizioni fino ad insidiare la leadership di Alain Prost, in testa con l’unica McLaren rimasta. Mansell in testa alla gara rende onore alla sua Ferrari che macina km in testa distanziando sempre più tutti gli avversari. Verso metà gara ecco il colpo di scena, al cambio gomme il pilota britannico chiede anche il cambio del volante!! Durante i giri percorsi si era accorto che le palette dietro al volante non mandavano l’impulso necessario a cambiare con costanza e, comunicatolo ai box, Fiorio decise di cambiare il volante e incrociare le dita. L’escamotage riuscì. La Ferrari tagliò il traguardo il prima posizione, l’unico inconveniente fu un taglio alla mano di Mansell procurato dalla coppa sul podio. In Italia i toni entusiastici si sprecarono, ma all’interno della squadra si capì in fretta che la vittoria era da attribuire a qualche scelta della dea bendata, in quanto nessuna modifica venne attuata per rendere la macchina affidabile.

A Imola, tempio laico della dea Rossa, i tifosi si aspettarono un’altra sorpresa, ma avvenne solo nelle prove di venerdi quando Berger riuscì a strappare il miglior tempo a Senna.
In gara, al terzo giro, Berger perse l’ala anteriore andando dritto contro il muro nella via di fuga del Tamburello distruggendo la macchina e rimanendo avvolto nel fuoco scaturito dalla benzina sugli scarichi roventi. Grazie al tempestivo intervento degl’addetti della Cea il pilota austriaco se la cavò con delle ferite marginali alle mani. Il resto della gara fu un monologo McLaren mentre Mansell posteggiò all’esterno della curva Tosa col cambio rotto. Nonostante le prestazioni fossero buone, la fragilità della macchina era evidente, e neppure la modifica del cofano motore con l’adozione dell’air scope permise un balzo in avanti.

Tra mugugni e polemiche fino al GP di Francia nessuna Ferrari vide il traguardo, anche se Mansell fino al ritiro in ogni gara aveva dato del filo da torcere alla copia McLaren in lotta spesso tra di loro. Francia, Inghilterra, Germania, furono gran premi disputati con tenacia che portarono il britannico sul podio, mentre Berger veniva sempre preso di mira da guasti sempre diversi, quasi fosse destinato ai collaudi in pista… In Ungheria, a un anno dalla morte di Ferrari, Mansell conquistò la sua vittoria più bella da “leone canadese” in un circuito dove i sorpassi erano difficili, riuscì nell’impresa di scavalcare Senna e Johannson in un colpo solo andando a vincere con 30 secondi di vantaggio. Fiorio, da uomo di sport, era riuscito ad amalgamare il team e fargli tornare una mentalità vincente. I piazzamenti di Spa e Monza resero meno amara una stagione che ebbe in Portogallo un altro sussulto con Berger e vide Mansell squalificato per aver messo la retromarcia ai box. Purtroppo il pilota inglese, nella foga della gara, era difficilmente controllabile e richiamato ai box mentre si disputava il primo posto con Senna, arrivò lungo sulla piazzola d’arresto. Innestata la retromarcia tornò a posizionarsi nel suo spazio per permettere ai meccanici di eseguire l’operazione. Non potendo invertire il senso di marcia rispetto all’andamento della gara Mansell venne squalificato con bandiera nera, che non vide sventolare e, mentre era in battaglia con Senna arrivò alla collisione facendo finire anzi tempo la gara al brasiliano e facendogli perdere i punti necessari per la conquista del titolo.

Fiorio da parte sua, aveva captato il malessere di Prost a stare in squadra col campione carioca, e, dopo una trattativa serrata, si aggiudicò il francese per la stagione 1990 in coppia con Mansell. La stagione 90 fu la grande illusione, con una macchina perfetta, progettata da Scalabroni, Alain Prost si ritrovò a sfidare ad armi pari Senna, e fu solo per la capacità del brasiliano a sapersi adattare al meglio alla macchina anche quando non era perfetta, e alle bizze di Mansell che in Portogallo, con una prima fila tutta Rossa, preferì tagliare la strada al compagno sbarrandogliela, piuttosto che stoppare gli ardimentosi tentativi di sorpasso del duo McLaren in seconda fila. A Suzuka, Prost vincendo aveva la possibilità di riaprire il discorso sul titolo, ma alla prima curva un Senna indispettito dell’inversione di posizione della Pole, sulla destra invece che sulla sinistra, speronò il francese incassando il titolo e distruggendo le illusioni ferrariste.

L’anno seguente la macchina non fu all’altezza, perso Scalabroni, la Ferrari assunse Steve Nichols dalla McLaren ma la macchina che ne scaturì si dimostrò palesemente obsoleta, tanto da dover far debuttare una versione B a metà stagione. Quella che doveva essere la stagione dei successi si trasformò nella stagione dei veleni, fatto fuori Fiorio, reo di voler portare Senna alla Ferrari al posto di Prost, ma anche l’unico che aveva capito la necessità di collaudare le sospensioni attive, innovazione vista troppo futurista a Maranello, ma di fatto già in uso in F1 dal 1987, la squadra corse fece quello che poteva ma, nonostante l’impegno non arrivò nessuna vittoria e nessuna prestazione degna di nota. Addirittura venne licenziato Prost, perché si è lamentato troppo della guidabilità della sua Ferrari paragonandola a un camion.