F1 | La verità sulla morte di Bandini

F1 – Quel 7 maggio del 1967 a Monaco purtroppo c’ero. Seguivo il Gran Premio per conto della rivista “Auto Italiana”. Dovevo realizzare un servizio sui contorni del Gran Premio, sulla mondanità, sulle spigolature che quel mondo all’epoca offriva, specialmente in una ambientazione come quella del Principato.

Ero in tribuna stampa quando vidi una colonna di fumo levarsi altissima dalla zona della “chicane” mentre davanti a me sfilava la Brabham di Dennis Hulme, il leader della corsa, ma non la Ferrari numero 18 di Lorenzo Bandini che in seconda posizione doveva transitare una ventina di secondi dopo.

Il dramma era evidente. E sulla dinamica dell’incidente parlerò dopo. Ma avendo poi visionato un filmato che per rispetto non ho mai voluto utilizzare nelle mie trasmissioni, posso raccontare quel che è successo dopo l’incidente. A quell’epoca non c’era la “safety car” ed a nessuno sarebbe mai balzato in mente di rallentare una gara. Quindi i bravi commissari monegaschi si slanciarono verso l’auto per estrarre il pilota, ma in quel momento si scatenò una fiammata che li fece arretrare.

Intanto sopra al punto dell’impatto si era portato l’elicottero che effettuava il ponte per le riprese – era una delle prime volte che accadeva – e quando i commissari riuscirono ad estrarre il corpo di Bandini dall’abitacolo le pale del rotore dell’elicottero crearono una corrente ascensionale che rinfocolò le fiamme ed i commissari abbandonarono, fuggendo, il corpo del pilota. La scena si ripetè altre due volte mentre il corpo veniva trascinato e abbandonato come un sacco di patate – orribile! – ad ogni tentativo. Tutto questo mentre le auto dei concorrenti rimasti in gara ( 6 ) continuavano a passare sfiorando i commissari e l’auto in fiamme. Finalmente, quando l’elicottero si allontanò dalla verticale, iniziarono i soccorsi e quindi il trasporto in ospedale del corpo di Bandini.

Le conseguenze delle ustioni, che avevano martoriato il corpo del pilota, erano gravissime. Le tute in quegli anni non avevano nessun potere ignifugo. Ma in più, e questo in pochi lo sanno, uno dei tubi della ringhiera che fiancheggiava il molo del porto in quel punto – lo stesso dove nel 1955 era finito in mare Alberto Ascari e quindi protetto ( si fa per dire ) da alcune balle di paglia – era penetrato nel fianco di Bandini con conseguenze gravissime per il fegato e l’addome.

Nei tre giorni successivi riuscii ad arrivare più volte, grazie ad un amico infermiere, nei corridoi dell’ospedale al piano dove il pilota era ricoverato e dove la moglie Margherita seguiva con angoscia gli sviluppi della situazione. Venne anche chiamato per un consulto il professor Teich Alasia del centro grandi ustioni di Torino, ma tutto fu inutile. E Bandini morì il 10 maggio.

A quel punto la mia presenza giornalistica si trasformò, ovviamente. Anziché di mondanità dovetti occuparmi di tragicità.

Quel Gran Premio iniziato nel migliore dei modi – con Bandini qualificato in prima fila accanto a Jack Brabham e con un servizio televisivo di Gino Rancati che aveva seguito il pilota durante la sua vestizione paragonandolo ad un torero che sta per scendere nell’arena – era finito drammaticamente. Ma perché?

E questo cercai di capire nei giorni successivi interrogando i commissari che erano sul posto, quelli che erano al box della Ferrari, ed i dirigenti dell’A.C.Monaco.

Intanto bisogna partire da un dato: a quel tempo la gara si svolgeva su 100 giri del circuito. E questo da già l’dea dello stress fisico che può comportare l’impegno del G.P. di Monaco con auto ben più faticose da guidare di quelle attuali. Ed ecco la situazione. Bandini scatta primo al via. Al 2° giro Hulme e Stewart lo superano all’uscita dalla chicane. Al 7° giro Stewart supera Hulme ma al 15° giro deve ritirarsi. Bandini è all’inseguimento di Dennis Hulme che lo precede di una ventina di secondi. La gara continua con queste posizioni: è un duello. La Ferrari numero 18 sembra poter recuperare nei confronti del pilota neozelandese al volante della Brabham. E dal box viene segnalato a Bandini il recupero.

Poi però la tendenza comincia ad invertirsi: per Bandini aumenta il distacco ma dal box gli viene segnalato il contrario anche con incitazioni a braccia levate da parte del D.S. Franco Lini.

Intanto parecchi giri prima dell’incidente la Brabham di Jack Brabham ha rotto il motore e deve ritirarsi. La rottura si è verificata proprio in prossimità della chicane maledetta. Il tracciato in quel punto, essendo una strada di normale circolazione, ha una griglia in ferro per lo scolo dell’acqua e parecchio olio resta nelle feritoie della griglia. All’80° giro Bandini è visibilmente stanco, pare che il capo ciondoli parecchio, continua a perdere terreno nei confronti di Hulme e quando passa alla chicane si sposta sulla destra della normale traiettoria, proprio dove è rimasto quell’olio. La Ferrari sbanda leggermente e Lorenzo non riesce a domarla. Lo schianto nelle balle di paglia è inevitabile. Ma purtroppo dietro alle balle di paglia c’è quella ringhiera che prima di perforare l’addome di   Bandini perfora il serbatoio della benzina. Si innesca l’incendio. E’ la fine.

Ho ripensato molte volte a quello che avevo scoperto ed ho rivisto qualcosa di simile quasi 40 anni dopo con l’incidente di Ayrton Senna: un’asta di ferro – per Ayrton un braccetto della sospensione – che scatena l’inferno in un incidente che poteva risolversi quasi banalmente.

Chissà? Forse lassù Lorenzo ed Ayrton se lo racconteranno.