F1 | I piloti Ferrari e la loro guida all’inzio dell’era turbo – seconda parte

Continuiamo ad anaizzare le prime Ferrari dell’era biturbo e di come i piloti adattavano la loro guida. Gli anni analizzati sono il 1983, 1984, 1985 e 1986.

Nel 1983 la Ferrari scelse di lavorare sulla progressione della potenza  del motore rendendola più fluida. Questo  accorgimento venne particolarmente apprezzato da Arnoux che, dopo migliaia di chilometri percorsi a Fiorano, riuscì ad adattarsi al meglio a un motore che rendeva la sua potenza quasi continua senza però l’ausilio delle minigonne. Il transalpino riuscì a destreggiarsi al meglio nei circuiti cittadini, a Monaco fu secondo in qualifica, a Detroit fu costretto al ritiro mentre era in testa alla corsa. La C3 esaltò le caratteristiche di Arnoux, che si trovava particolarmente a suo agio nei curvoni veloci:infatti conquistò una facile pole in Inghilterra mentre risultò competitivo in Germania dove vinse e in Austria, dove, nonostante una marcia rotta, poté usare il motore quasi come un aspirato e giungere secondo.

Diverso è il discorso per Tambay che, nonostante un motore più fluido, non riuscì mai a adattarsi alle accelerazioni brucianti sui circuiti medio veloci, al contrario in quelli veloci dimostrò una perizia di guida da impensierire il compagno. Soltanto l’adattabilità alle gomme fece la differenza tra i due, mentre Arnoux riuscì a gestire l’accelerazione e i piccoli sbandamenti in modo da non danneggiare eccessivamente le coperture, Tambay ne fu vittima, tanto che in prova riusciva a fare delle prestazioni velocistiche di prima grandezza mentre in gara non riusciva a preservarli arrivando a consumarli dopo poche tornate.

La C4 fu una monoposto figlia illegittima di gomme non all’altezza e carburanti poco performanti e obbligò i piloti a correre quasi sempre in difensiva. Alboreto, alla prima stagione con un turbo, dimostrò di trovarsi subito a suo agio in Brasile e, grazie all’evoluzione del motore Ferrari e a un telaio finalmente efficace, in Belgio riuscì a vincere, dove dimostrò di saper amministrare le gomme, gestendo il consumo eccessivo di quelle posteriori con un controllo e un escursione fuori pista. Un altro esempio della fine guida di Alboreto fu il GP d’Austria dove capì il limite gomme macchina e riuscì ad arrivare terzo. La C4 non si adattò mai troppo alla guida di Arnoux, che tentò di sopperire alle mancanze del progetto con una guida grintosa, che non diede risultati sperati tranne a Dallas, dove venne favorito dai numerosi ritiri. L’allestimento della versione M2 della C4, unito a un carburante finalmente all’altezza, diede alla macchina una seconda giovinezza conquistando un secondo posto in Germania; Alboreto ancora esaltò la nuova aerodinamica percorrendo l’ultima curva in modo particolarmente efficace conquistando un secondo posto in volata su Piquet.

Alla fine della stagione 1984, la C4 deluse le aspettative e venne additata quale maggiore responsabile della cattiva resa dei piloti in quella stagione. Il reparto corse perse la sua famosa coesione e, persone vicine a Ferrari gli insinuarono l’ idea che la maggior parte delle responsabilità erano da attribuire al direttore tecnico Forghieri. Il patriarca sposò la tesi e non si fece problemi ad accusare il proprio direttore  che, sentendosi tradito andò via dal reparto corse sbattendo la porta.

Per il 1985 la scuderia emiliana decise di sfruttare gli appunti e disegni di Forghieri e portò in pista una macchina che sembrava sposarsi perfettamente allo stile del proprio pilota di punta: Alboreto.

Precisa in inserimento curva molto veloce, la 156/85, così venne chiamata, nessuna “parentela” con quella del 1961, sembrava dover recitare un ruolo di sicura protagonista. L’unica nota stonata era rappresentata da Arnoux, che forse distratto da altro che non fossero le corse, aveva intrapreso una parabola discendente che irritata parecchio l’establishment modenese.