F1 | I piloti Ferrari e la loro guida all’inzio dell’era turbo – seconda parte

Alboreto, dopo le prime prove promosse in pieno la vettura,  infatti alla prima uscita in Brasile non faticò a conquistare la pole position e in gara ottenne un buon secondo posto, che sarebbe potuto essere un primo se Mansell in partenza non avesse toccato la sospensione anteriore della Ferrari alterandone l’equilibrio. Molto preciso come sempre Alboreto tirò fuori il massimo da una macchina sbilanciata, Il vecchio, in fabbrica arricciò un po’ il naso a un Alboreto formato Lauda, pronto ad assecondare la vettura in qualunque stato si trovasse senza violentarne la natura.

Tanto tuonò che piovve, così si può raccontare l’improvviso licenziamento di Arnoux, autore di un onesto gran premio del Brasile dove ottenne un quarto posto dignitoso ma poco propenso a passare ore interminabili in pista a sviluppare la macchina e soprattutto con la Ferrari non tra le sue priorità. Con una decisione discutibile ma fulminea venne licenziato e al suo posto venne assunto Johansson. La decisione fu vista come il voler puntare apertamente sulle doti di Michele, ma nessuno notò che lo svedese cominciava a evidenziare qualche piccolo problema nella macchina soprattutto a livello di trazione. I tecnici Ferrari non badarono molto alle indicazioni dello svedese, anche perché Alboreto stava portandosi in testa al campionato  grazie a una guida precisa e spregiudicata, Monaco fu la gara più bella dell’ italiano, dove, coadiuvato da una Ferrari all’altezza rimontò fino al secondo posto dopo una foratura che lo privò di un facile successo.

Marcello Sabbatini, storico giornalista e fondatore di Autosprint,  cominciò a domandarsi se la forza della Ferrari non risiedesse nella  debolezza della McLaren,  passata alla Goodyear, in affanno con una macchina sicuramente competitiva ma poco costante nelle prestazioni.

In Canada la Ferrari vinse, e Johanson arrivò secondo,  tutti i dubbi sollevati dai piloti vennero fugati dal risultato. Fu un fuoco di paglia, la McLaren stava tornando, i tecnici Ferrari cominciarono a discutere di modificare il motore onde ovviare i problemi di trazione guidabilità che cominciavano ad emergere. Fuori dal reparto corse, ma dentro la fabbrica, si cominciava a puntare il dito sulla trasmissione a innesti trasversali.

La persona era Forghieri che notò come la trasmissione stesse diventando obsoleta rispetto alle potenze raggiunte dai motori, però vista la testa della classifica era meglio puntare sull’affidabilità per arrivare a riprogettare il tutto. In Ferrari si fece il contrario. Si modificò il motore sperando di poter avere più potenza da esprimere a discapito di un affidabilità che si sarebbe resa necessaria per la conquista dell’alloro finale. Con le modifiche di motore, volute fermamente da Ferrari in persona, la macchina oltre che inguadabile, l’aumento di potenza palesò una certa nervosità dovuta alla rigidità del telaio, divenne totalmente inaffidabile e Alboreto non poté fare altro che arrendersi alla sua vettura. Nell’ultima gara in Australia, la natura del circuito e la limitata pressione di sovralimentazione, fecero sfiorare la vittoria ad Alboreto che con la sua solita guida precisa, decisamente premiante sul nuovo circuito australiano, venne fermato da un banale guasto.

Per il 1986, dopo la grande illusione, l’unica certezza dei tecnici del cavallino era il colore rosso della scocca.

Si decise di puntare sulla potenza del motore, elevandola fino a 1100 cv in prova,  fin dai primi giri in pista la macchina sembrò sottodimensionata rispetto al cuore pulsante. Alboreto, pilota di riferimento lamentava un continuo saltellare del posteriore che spesso lo obbligava a entrare troppo piano in curva e ad accelerare in ritardo rispetto alla sua indole.  A Jerez la Ferrari sembrava una ballerina, all’uscita delle curve lente in accelerazione ballava sia davanti sia dietro  condannando i propri piloti a una gara da dimenticare culminata con un uscita di pista. Troppo nervosa per la classe cristallina dell’italiano, la macchina si sposò meglio nelle mani di Johanson che non andò mai oltre le possibilità della vettura accontentandosi di arrivare al traguardo anche se lontano dalle luci della ribalta. Neanche la versione modificata,  modifiche auspicate da Alboreto, portò risultati apprezzabili,  nelle piste veloci la macchina ben figurava, in Austria conquistarono un doppio podio nonostante un’ appendice aerodinamica rotta e a Monza, fino al ritiro Alboreto contese il primo posto alle imbattibili Williams. Il timore di una riduzione di cilindrata e l’idea che la v 120 gradi fosse ormai del tutto obsoleta, fecero accantonare gli ulteriori sviluppi  per concentrarsi sull’eventualità di un motore a quattro cilindri o, come in effetti fu, a un propulsore con una v di 90 gradi che accoppiata a una trasmissione di tipo longitudinale avrebbe creato una rastremazione posteriore più consona ai nuovi dettami aerodinamici.

Alla fine del 1986 la Ferrari ritornò all’antico sposando il cambio longitudinale sperando di poter tornare protagonista, ma soprattutto pensò di risolvere i suoi problemi assumendo l’artefice dei successi McLaren, Barnard che, a discapito del soprannome, non fece nessuna magia per il tanto auspicato ritorno ai vertici.