In un precedente articolo abbiamo parlato dei compagni rivali, quelli che si sono giocati tutto sull’altare dei risultati, anzi, dello scontro fratricida. Ma in questo caso, mantenendo un po’ lo stesso filone, ci sono anche delle belle storie da raccontare, quelle di amicizie che vanno oltre la rivalità in pista, quelle che si creano all’interno del garage in cui si divide tutto. Coppie fortissime che si sono rese ancora più belle nei box.
Una di queste è certamente quella formata da Jackie Stewart e François Cevert, una parabola ascendente che si interrompe presto, troppo presto. Una di quelle favole che l’occhio di lince dello zio Ken Tyrrell era già pronto a far diventare leggenda. Una storia che inizia proprio grazie all’intuito di Jackie Stewart, capace di notare questo giovane, ma già grande, pilota francese, con il chiaro obiettivo di farlo crescere e diventare un autentico campione. Per Jackie, che già si stava affermando dopo il primo titolo iridato conquistato grazie alla Matra, François sarà come un figlio, visto che si prenderà cura di lui in pista e nel paddock, cercando di portarlo ai massimi vertici dell’automobilismo mondiale. Cevert non era lì per caso, figlio di un gioielliere e uomo che aveva deciso di correre con il cognome della madre (come molti anni dopo farà Ayrton Senna, solo che nel caso del francese c’era un passato terribile da dimenticare, quello dell’occupazione nazista); persona affabile che ricorda in molti tratti della personalità Elio De Angelis, colto (ottimo pianista, come il romano), ricco e molto educato. Il suo passato al volante è notevole: vince il volante d’oro Shell e corre per un’intera stagione in Formula 3. Poi salta in Formula 2 nel team Tecno, dove si scontrerà anche con lo scozzese, soprattutto al London Trophy. L’ascesa sarà data anche da un colpo di fortuna, quello dell’annuncio del ritiro di Johnny Servoz-Gavin, che correva proprio con la Tyrrell. Stewart non ci pensa due volte: chiama Tyrrell e quasi lo obbliga a portarsi sulle tracce del francese. Detto, fatto. Cevert è in Formula 1 al fianco dello scozzese, nella prima stagione in cui il Boscaiolo decide di diventare costruttore. I due parlano molto, si scambiano consigli, agiscono quasi in simbiosi. Ed ecco che il 1971 diventa una passerella formidabile della nuova 002, la monoposto che regalerà a Stewart il secondo titol mondiale.
E da qui inizierà la serie degli scatti forse più belli per un team: quando entrambi salgono sul podio, e uno dei due vince, Stewart non perde mai l’occasione per ringraziare Cevert, alzandogli il braccio in segno di vittoria. La loro è un’amicizia vera, una complicità straordinaria che si rivelerà una vera e propria mazzata per gli avversari. Infatti, Stewart ci metterà davvero poco a costruire quel capolavoro che sarà il suo secondo titolo, propiziato anche dai problemi di Ronnie Peterson e coadiuvato nel migliore dei modi da Cevert, che gli proteggerà le spalle in più di un’occasione, come sulla Nordschleife. Un dominio che si consacrerà a Zeltweg, con la seconda corona iridata dello scozzese arrivata grazie al mancato arrivo a punti di Peterson dopo il doppio ritiro delle Tyrrell, e che vivrà il suo momento più bello a Watkins Glen. Stewart inizia la gara al comando, inseguito dal fedele Cevert, ma al 14. giro inizia ad accusare dei problemi di gomme. Per Cevert si spalancano le porte del successo: Stewart gli fa segno di passare e il francese non si fa pregare due volte: va a vincere mettendo ben 40 secondi tra sè e Jo Siffert. Ma non solo, dopo il trionfo ha anche il modo di ringraziare Stewart, definendolo “un pilota molto sensibile e uno straordinario insegnante”. Una delle corse più belle per il pilota francese, che assapora così il gusto della prima vittoria in Formula 1 che è la prima per un pilota francese dai tempi di Maurice Tritignant. Un meraviglioso finale di stagione, che completa il trionfo di Tyrrell. Il team del Boscaiolo sembra potersi ripetere anche l’anno successivo, con il bruciante avvio di Stewart, ma la superiorità della Lotus 72 di Emerson Fittipaldi si mostra nelle gare successive, andando a chiudere pressochè in solitaria la corsa iridata. Per la coppia d’oro dello zio Ken, però, ci sarà una soddisfazione, l’ultima, sempre a Watkins Glen, dove la Tyrrell viene assistita magnificamente dalle gomme Goodyear e permette a Stewart di involarsi verso il successo, mentre Cevert ci mette metà gara per conquistare il secondo posto e andare ancora una volta insieme al fido Jackie a festeggiare la doppietta. Una vittoria che è un preludio al 1973, dove fa il suo ingresso la 006, una vettura convenzionale ma molto, molto efficace. Stewart la userà dal Gran Premio di Spagna, mentre Cevert ci disputerà tutta la stagione. Sarà proprio la scelta del francese a rivelarsi azzeccata, visto che andrà subito alle spalle di Emerson Fittipaldi, in Argentina, e fu così che Stewart, indotto a utilizzare quel telaio dopo le prime 2 gare, divenne imprendibile per tutti. Vinse subito a Kyalami, dove Cevert non corse, e poi arrivarono le doppiette memorabili di Zolder, Zandvoort e sulla Nordschleife, dove Stewart e Cevert distanzieranno tutti gli avversari. La costanza di Cevert (6 volte secondo) fa il paio con la classe cristallina di Stewart; un cocktail micidiale per gli avversari, soprattutto per la coppia d’oro della Lotus formata da Emerson Fittipaldi e Ronnie Peterson. Tanto che nemmeno la doppietta di Monza servirà ai due per cercare di impensierire Stewart, che grazie al quarto posto impreziosito dal giro record si aggiudica il terzo titolo iridato con 4 gare di anticipo.
La passerella potrebbe arrivare al Glen, pista amatissima da Cevert, e i due cercano di preparare al meglio la gara che potrebbe consegnare al francese il secondo posto in classifica. C’è una curva in particolare, la chicane prima del rettilineo di ritorno, che divide i due piloti. Cevert vuole affrontarla in terza, per avere più spinta; Stewart, però, lo ammonisce e lo invita a usare la quarta per evitare pericolose sbandate della monoposto. Cevert parte, si getta alla conquista di quella pole position che lo porterebbe a fare un bel regalo a Ken Tyrrell, dicendo al suo meccanico: «Oggi è il 6, piloto la Tyrrell 006, con il numero 6, il motore Cosworth porta il numero 6. Oggi faccio la pole position». Ma mentre si infila nell’abitacolo sembra non curarsi del consiglio del compagno di squadra e affronta quella curva in terza. Stava studiando da prima guida, il francese, e voleva ben figurare proprio nella pista che amava. L’anno successivo, infatti, avrebbe fatto coppia con Jody Scheckter (con Tyrrell che aveva deciso di scommettere sul sudafricano nonostante gli incidenti e le critiche) e sarebbe stato lui il candidato alla corsa al titolo. Ma in quella sessione di qualifiche, la terza, la monoposto non curvò, in modo del tutto inspiegabile, cappottandosi e andando ad accartocciarsi contro il guard-rail. C’è incredulità nei box, Colin Chapman appena apprende la notizia rimane immobile, ma la botta più forte la riceve Jackie Stewart, che accorre sul luogo dell’incidente insieme a Scheckter e rimane lì, fermo, impietrito. Vorrebbe avvicinarsi a François, ma non riesce a farlo. Non riesce a dargli l’ultimo saluto, a chiudergli gli occhi, il dolore è troppo forte, lacerante. Quel dolore che prima di uscire allo scoperto ti scava delle ferite che sono inguaribili, non solo perchè hai perso qualcuno che ti è rimasto veramente caro ma perchè hai perso una parte di te, che nessuno potrà restituirti. Un dolore tanto potente da lasciarti impietrito, ma anche capace di esplodere da un momento all’altro. Infatti, torna ai box e scoppia in lacrime davanti alla moglie di Cevert annunciando la sua decisione di ritirarsi per sempre dalle corse. Non prenderà parte a quella gara, Jackie, i garage della Tyrrell rimarranno chiusi, consentendo così, quasi fosse una beffa, alla Lotus di aggiudicarsi il titolo costruttori. “Un giorno, Helen ed io, decidemmo di fare un elenco di tutti gli amici che abbiamo perso a causa di incidenti durante delle gare automobilistiche, ci siamo fermati quando abbiamo raggiunto quota 50…”
Questo dirà Jackie Stewart dopo la tragedia di Cevert, un dramma che cambierà in modo irreversibile il suo modo di vivere le corse, impegnandosi in prima persona per migliorare la sicurezza nelle piste. E l’uomo che avrebbe potuto e dovuto proseguire la scia di successi dello scozzese era proprio Cevert. Stewart dirà: “Avevamo una delle migliori relazioni umane mai viste fra due piloti della stessa squadra, sa, io avrei dovuto essere il “maestro” e lui l’allievo. E non c’è nulla che desideri di più al mondo della possibilità che lui proseguisse dal punto in cui io lasciai ed essere il campione del mondo. Sarebbe stato il finale perfetto per una storia perfetta ed un rapporto perfetto. Poiché ero ormai alla fine della mia carriera di pilota fu decisamente un modo molto amaro di lasciare questo sport, ma fu anche un modo in cui lo sport mi insegnò che nessuno è grande abbastanza da poter fare tutto quando desiderano farlo e raggiungere qualsivoglia obiettivo che si siano fissati nella vita. Fu anche il modo di Dio per dirmi “non dare mai nulla per scontato”, questo è il rovescio della medaglia. E fu un modo molto profondo di imparare la lezione, non avrebbe potuto essere più doloroso e chiaro al tempo stesso. Lui è ancora qui con me.”