Kimi Raikkonen, il ritorno alla vittoria quasi alla fine della suo percorso in Ferrari non è stato un fatto banale, anzi.
di Giulio Scaccia
In qualsiasi sport le bandiere sono sempre di meno, anzi sono quasi sparite. Il professionismo asettico la fa da padrone ed è sempre più difficile identificarsi in quell’atleta o in quel personaggio dello sport. Kimi Raikkonen è uno di quelli che fa eccezione: pilota anti personaggio per eccelenza ma proprio per questo capace di creare una sua immagine, un suo modo di essere e di fare che ha affascinato più di una generazione.
Pilota veloce, velocissimo, stilisticamente impeccabile. Erede destinato da Michael Schumacher che, insieme a Jean Todt, lo preferì a Fernando Alonso in Ferrari. Kimi è l’ultimo campione del mondo con la Rossa.
Nell’anniversario del suo titolo iridato in Brasile nel 2007, in una rush finale mozzafiato in cui riuscì a battere un giovanissimo Hamilton ed un già affermato Alonso, ha regalato una vittoria alla Ferrari, orfana di un Vettel prigioniero dei suoi psicodrammi.
Kimi Raikkonen rappresenta un modo di intendere la vita e lo sport. Ventuno vittorie in Formula 1, dieci con la Ferrari. Un mondiale vinto. Il finlandese entra di diritto tra i grandi, avendo ottenuto quattro vittorie a SPA. Nel 2004 battendo proprio Michael Schumacher.
Poi il 2005, il 2007 e il 2009. E anche quando non ha vinto come non ricordare la spettacolare battaglia nel 2008 con Lewis Hamilton, caratterizzata dalle condizioni meteo variabili e finita contro una pila di gomme, ma che nonostante tutto rimane nella memoria scolpita. Una lotta tra gladiatori di una F1 sparita da tempo.
Ha raccolto meno di quello che il suo immenso talento poteva regalargli, perché la costanza e forse la cattiveria agonistica non sono mai stati il suo forte, ed anche le relazioni all’interno del team, come quando nel 2008 lo sviluppo della Ferrari andò verso le preferenze di Felipe Massa ed il finlandese, dopo una gran partenza, finì col perdersi, oltre a non essere tutelato da parte del team che, con un campione in casa, puntò le sue carte su Felipe Massa. Scelta estremamente discutibile.
Non ha mai condotto una vita da atleta ma nemmeno da irresponsabile. Rinchiuso nel suo mondo ha percorso la F1 dal 2001 ad oggi pur con una pausa di due anni, sacrificato dalla Ferrari per far posto a Fernando Alonso alla fine della stagione 2009.
Ma Raikkonen è ritornato. Ha regalato gioie e delusioni ma alla fine ha lasciato un segno.
La vittoria ad Austin ha fatto bene al cuore di tutti gli appassionati ed anche i suoi colleghi, alla fine, sono stati contenti.
In particolare i compagni di viaggio di mille battaglie. Ed ha giovato anche alla classifica del mondiale costruttori, oltre che ha rimandare di una gara la festa del mondiale steso su un tappeto rosso da parte di Vettel ad Hamilton.
Kimi chiuderà la carriera in Sauber, giubilato dalla Ferrari nel week end di Monza, con un modo che ha lasciato in tanti perplessi, ma così è lo sport, così è la vita. Oggi ha 39 anni rimane uno degli ultimi cavalieri di una Formula 1 antica. Un cavaliere oscuro, come quando sulla sua Lotus si promuoveva una bellissima pellicola su Batman.