Halo: Un’aureola che non risplende

Il nome richiama il simbolo celestiale di un’aureola, ma la forma è quella terra-terra di un’infradito. L’intenzione è sacrosanta. La realizzazione alquanto sacrilega. Il sacrificio dell’estetica a favore della sicurezza è cosa degna di lode. Ma questo rosario che snocciola continue proposte e soluzioni discutibili si dimostrerà salvifico?

Non si rischierà piuttosto di incorrere nel peccato mortale di una sempre più asettica “Formula videogame”? Niki Lauda, che non è forse un santo, ma un buon predicatore, manifesta il suo dissenso a chiare lettere. E le sue parole ci consegnano una preghiera: che la Formula 1 continui ad appassionare in virtù di quell’incomprensibile legame tra sacro e profano, tra velocità e coraggio, tra uomini ed eroi.

Alla fine ha vinto l’Halo. Pur non piacendo a nessuno, pur non convincendo nessuno. Fuori dai giochi le seducenti trasparenze di Aeroscreen e Shield, si è imposta la soluzione più semplice e forse più imperfetta.

E dire che al suo esordio, nei test di Montmelò del marzo 2016, aveva raccolto quasi esclusivamente critiche e perplessità. Nonché lo sdegno di alcuni piloti. Hamilton e Grosjean su tutti. Il dubbio sulla sua reale efficacia, com’è ormai noto, verte essenzialmente sull’impossibilità di proteggere il pilota dai piccoli detriti e sull’eventualità di rallentarne l’uscita dall’abitacolo in caso di emergenza. Non si è mancato di considerare inoltre che la struttura centrale sarebbe d’intralcio per la visibilità frontale del pilota. Un campo visivo che si restringe progressivamente all’aumentare della velocità, riducendosi fino a 45/50 gradi, di certo non può beneficiare di un ostacolo posto proprio nel mezzo. Tuttavia, le successive evoluzioni dell’Halo hanno parzialmente colmato queste carenze iniziali. Anzitutto con un sistema di rimozione più rapido e sicuro, poi con l’assottigliamento del supporto della struttura centrale, così da renderla meno invasiva per la visibilità del pilota.

Insomma, si tratterebbe di un male necessario. Un dispositivo in grado di elargire una protezione importante nel caso di impatto tra rollbar e casco, a fronte di qualche inevitabile compromesso. Certo è che l’introduzione di Halo divide le opinioni. Molto forte a questo proposito è il parere di Niki Lauda. L’ex pilota austriaco, tornato sulla questione, interviene senza giri di parole: “Sono contrario ad Halo. Nessuno costringe i piloti a gareggiare. Loro sono i migliori al mondo, ma coloro che non ce la fanno è meglio restino a casa. Se continueremo così nessuno guarderà la Formula 1, perché i piloti non saranno più considerati degli eroi.”

La Formula 1 ha bisogno di eroi. Tutti abbiamo bisogno di riconoscere i piloti come eroi. Chi guarda le gare si inebria di velocità e si lascia trasportare da quel vortice in uno spazio lontano, in un tempo arcano. E allora i contorni sfumano, le leggende sembrano rinnovarsi. E in Vettel ravvisiamo Schumacher, in Hamilton un legame con Senna, in Alonso un confronto con Graham Hill. Nei sogni si può volare alto. Ma questo “folle volo” non sarebbe forse tarpato dall’ infinita sequela di regole e imposizioni? Sempre Lauda osserva: “Bisogna prendere le decisioni giuste in certe situazioni. E Halo è quella sbagliata. Stiamo cercando di avere monoposto velocissime per essere più vicini agli spettatori e per attrarne di nuovi. Ma in questo caso stiamo distruggendo il nostro lavoro con questa mossa.”

Certo, per noi spettatori risulta sempre più difficile comprendere questi regolamenti, abituarci a queste limitazioni, digerire queste innovazioni. Snaturando le vetture non rischiamo forse di rendere la categoria principale una sorta di brutta copia delle formule minori? Ma soprattutto Halo è veramente necessario per ottenere un livello di sicurezza ancora maggiore? Secondo il Presidente non esecutivo Mercedes non farà la differenza, perché: “la Fia ha reso la Formula 1 molto più sicura. Hanno eliminato anche il pericolo di eventuali ruote volanti dopo gli incidenti grazie all’introduzione dei cavi di ritenzione. I rischi per i piloti sono diventati davvero minimi.”

L’opinione di Lauda è condivisibile. Va però ricordato che non tutte le parti danneggiabili delle monoposto possono essere ancorate tramite cavi, e che gli stessi non hanno un’affidabilità pari al 100%. Prova ne è stato, ad esempio, l’incidente fatale di Justin Wilson durante la 500 miglia di Pocono nell’agosto 2015. È vero che si trattava di un altro tipo di competizione, svolta su piste essenzialmente prive di vie di fuga, tuttavia è innegabile notare come dinamiche simili ( grossi detriti che vanno ad impattare contro il casco di un pilota) potrebbero verificarsi anche nel corso di una gara di Formula 1. In quel caso Halo risulterebbe decisivo, se non addirittura vitale.

Comunque si voglia considerare la questione, alcune tristi pagine del motorsport ci hanno mostrato come incidenti mortali siano stati causati dalla mancanza di un’appendice protettiva. Mi riferisco al caso del già citato Wilson, all’incidente occorso ad Henry Surtees, colpito da uno pneumatico durante una gara di Formula 2, e anche all’assurda dinamica che ha causato prima il grave ferimento di Maria de Villota e poi il suo decesso, insorto per complicazioni legate all’incidente. Tre diverse storie legate da un terribile comune denominatore.

Probabilmente Halo non rappresenta la soluzione migliore e rimane il sospetto che non siano state esplorate a fondo possibili alternative, con l’accantonamento precoce di Aeroscreen e Shield. Di certo si sarebbe potuto lavorare ad un compromesso che riuscisse a lasciare intatto l’aspetto estetico delle monoposto pur aumentandone la sicurezza. Magari posticipando l’introduzione del dispositivo al 2019. Va infatti ricordato che l’impatto di Halo sulla vettura non è solo di carattere estetico. Si tratta anche di un peso aggiuntivo di circa 5 kg, che sommato a quello di un numero superiore di cavi di ritenzione, può mettere in difficoltà i team nell’osservare il limite di peso previsto dal regolamento. Soprattutto se in una squadra militano piloti dalla costituzione più robusta. Per la stagione 2019 invece si è deliberato il provvedimento di scindere il peso del pilota da quello della monoposto fissando un minimo di 80 kg, che, se non raggiunto, vedrà le vetture dotarsi di zavorre. In questo modo si elimineranno eventuali disparità tra piloti di corporatura differente, rendendo meno gravoso il lavoro di ingegneri e progettisti.

Alla fine Halo è un’aureola che racchiude al suo interno ancora troppi punti interrogativi. E troppo poche risposte esaustive. Possiamo schierarci dalla parte dei detrattori. Oppure mostrare un tiepido entusiasmo. Possiamo chiederci chi avrebbe salvato. O, al contrario, chi avrebbe condannato. Possiamo scrutarlo con sospetto. O accoglierlo con affetto. Ma in fondo ci abitueremo. E non per questo i piloti smetteranno di essere i nostri eroi.