Bruno Giacomelli e il sogno incompiuto Alfa Romeo

Ma i fatti importanti sono che c’è un italiano su macchina italiana e andrà a guidare una vettura di un marchio storico e prestigioso. Affianca Vittorio Brambilla e porta la 179 al debutto in Belgio. E’ una esperienza fondamentale per il bresciano che può mettere a disposizione tutto quanto appreso in March e mostrare le sue doti migliori. Cinque gare senza risultati anche se in Belgio al debutto parte a fianco di Niki Lauda motorizzato anch’esso con il V12 Alfa ma su Brabham. La vettura è una sorta di laboratorio con un peso di 60 kg eccedenti le migliori.

Giacomelli in questi anni potrà lavorare con un altro mostro sacro, l’ingegner Carlo Chiti, mente eccezionale, scuola Ferrari. Il 1980 presenta un’Alfa Romeo in pianta stabile con una interessante vettura. Arriva anche l’esperto Patrick Depailler. Al debutto Bruno è quinto, risultato che ripeterà un’altra volta durante la stagione in Germania. Durante l’estate in un incidente ad  Hockenheim durante una sessione di prove libere perde la vita Depailler per la probabile rottura di una sospensione.

Nel frattempo la vettura è molto migliorata, purtroppo sempre soffrendo di problemi di affidabilità. Il culmine è al Glen. Nel Gran Premio degli Stati Uniti Giacomelli fa la pole e domina la gara per 30 giri fino alla rottura di una bobina del motore. Qui è la sintesi dell’esperienza del bresciano in F1: “Ci sono stati sempre una quantità enorme di problemi di affidabilità. Fare un Gran Premio solo concentrato solo guida non mi è mai successo. Mentre nelle altre categorie non esisteva il problema dell’affidabilità. Esisteva la corsa”.

Il 1981 regala a Giacomelli l’unico podio in F1 a Las Vegas, ultima gara della stagione. Il 1982 è l’ultimo con l’Alfa ed è un anno deludente. Solo un quinto posto in Germania. Ecco la sintesi di Bruno che aveva messo l’anima in una avventura importante:

“L’Alfa ha avuto poco tempo. Il 1980 aboliscono le minigonne e la Goodyear lascia le corse ed erano i nostri due punti di forza. Alla fine 1981 ricambiano i regolamenti un’altra volta, a fine 1982 si chiude”.

Un anno in Toleman con un sesto posto di fatto chiude la carriera di Bruno in Formula 1.  Giacomelli si dedica alla serie CART e alle ruote coperte. Al termine della stagione 1989 ritroverà anche un sedile in Formula 1 come tester per la scuderia Leyton House, team organizzato dall’italiano Cesare Gariboldi. Qui può lavorare con un genio, Adrian Newey. Newey era direttore tecnico della Leyton House, e Bruno si occupava dello sviluppo delle sospensioni attive. Alla fine il proprietario ebbe problemi e la squadra venne chiusa. Newey due anni dopo con la Williams vinse con le sospensioni attive il mondiale con Nigel Mansell.

Ecco il racconto idi Bruno riguardo quell’esperienza:

“In Leyton House non ero il collaudatore, lavoravo con una mia squadra, l’ingegnere era Nick Wirth, che poi fece la Simtek. Wirth e Newey progettarono quella Leyton House che ha rivoluzionato la F1. Adrian Newey non è solo un grande tecnico, è anche uno capace di aprire strade nuove. Con la Leyton House ha portato concetti innovativi: abitacolo angusto, aerodinamica spinta. Lui è un progettista completo. Newey ha stravolto completamente il concetto di auto di F1. Prima di John Barnard”.

Nel 1990 Giacomelli ritornò nella massima serie al volante della Life con motore 12 cilindri a W. La scelta di correre, pur con un team debuttante e dal potenziale incerto, prevalse sull’offerta fatta dalla McLaren per un posto da tester, con l’avallo di Ayrton Senna. La vettura, però, non era competitiva e disponeva di soli 300 cavalli contro i 700 medi della concorrenza.  Ad Hockenheim, Senna sorpassò Giacomelli viaggiando a 345 km/h contro i 240 massimi della Life, e per ben 12 volte Giacomelli non riuscì a passare le pre-qualifiche.

Bruno racconta questa esperienza:

“Quella della Life non la considero un’esperienza dal punto di vista sportivo, ma dal punto di vista tecnico c’era l’ingegner Rocchi, padre del 12 cilindri boxer con cui la Ferrari vinse con Lauda e Scheckter e pensavo di portare il mio contributo allo sviluppo del motore. C’è stato dell’entusiasmo iniziale che poi è andato scemando, ma ci tengo a dire che uscivamo dai box sempre con il motore acceso, mentre altre Case più blasonate non riuscivano nemmeno a partire. Era un motore particolarissimo, a 3 bancate di 4 cilindri con una biella centrale e altre biellette laterali”.

Qui si conclude l’esperienza nella massima serie di Bruno Giacomelli. Il bresciano non ha mai avuto a disposizione una vettura al contempo competitiva e affidabile. Riusciva comunque a tirare fuori il meglio dai mezzi che aveva a disposizione che aveva con mestiere e arguzia tecnica. Jack O’ Malley è nel cuore degli appassionati, simbolo dell’età dell’oro del Motorsport. Ed esempio di come, per crescere, a volte occorre fare scelte difficili, che poi però pagano.