Alfa Romeo, un ritorno auspicato, ma nulla è come sembra

Il ritorno dell’Alfa Romeo in Formula 1 è una notizia che ha emozionato appassionati vecchi e nuovi della casa del Biscione e del Motorsport. Ma i tempi cambiano e molto non è come appare.

di Giulio Scaccia

La notizia era attesa e Sergio Marchionne ha rispettato una delle sue promesse e confermato con i fatti un suo auspicio: il ritorno dell’Alfa Romeo in Formula 1, attraverso il team Sauber, da anni nell’orbita di Maranello attraverso la fornitura di propulsori e componentistiche.

Dal lato della scuderia elvetica, un consolidamento tecnico e quasi sicuramente finanziario e un cambio di nome, Alfa Romeo Sauber F1 Team. L’operazione è anche di natura sportiva, in quanto probabilmente arriverà un pilota della Ferrari Drivers Academy, Leclerc il nome più gettonato; operazione di natura tecnica, in quanto le PU saranno a quanto sembra di Maranello rimarchiate Alfa Romeo. Non ultima una operazione di natura finanziara. L’Alfa Romeo è parte del gruppo FCA e non a caso la notizia della conferenza stampa di Sergio Marchionne prevista per sabato è stata ripresa immediatamente da Repubblica Finanza.

Questi i fatti ad oggi. Applaudiamo a Marchionne, ma non dimentichiamo che in questi termini stiamo parlando di una mera azione di marketing e promozionale per il marchio del Biscione. Non da sottovalutare, assolutamente. FCA ha un respiro internazionale e il mercato americano, considerando anche i nuovi proprietari della Formula 1, è di primaria importanza. La stessa gamma Alfa Romeo negli ultimi anni ha avuto una impennata qualitativa che, per chiare scelte strategiche del gruppo, l’ha portata a rappresentare la punta di diamante sportiva del gruppo FCA nelle vetture di produzione.

La mossa di Marchionne sembra proprio quella di cercare un ulteriore traino pubblicitario, che va rinforzare il quadrifoglio verde presente già sulle Ferrari e sulle tute dei piloti.

Sportivamente e tecnicamente però sorgono dei dubbi. Quali sviluppi? Il rischio è quello che venga generato un team satellite, quasi una sorta di Team Haas, su cui testare le novità e amplificare la cassa di risonanza mediatica.

I vecchi appassionati, che non dico corrono con la memoria agli albori della Formula 1, in cui l’Alfa vinceva i primi mondiali, ma che ripensano all’avventura tecnica, sportiva e politica dell’Auto Delta alla fine degli anni 70 ed inizio 80, con il vulcanico Ing. Carlo Chiti che si divideva tra progettazione e politica, con il nostro Bruno Giacomelli che andava in testa al Gran Premio del Glen nel 1980, ecco, probabilmente andranno delusi. Quella era una sfida tecnica, prima con i motori, poi con una squadra, che non portò i risultati attesi ma che ha lasciato dei ricordi bellissimi. Lauda, Giacomelli, Depailler, De Cesaris, Ducarouge, sono solo alcuni dei nomi legati a quella ssplendida storia. Di una Formula 1 che non c’è più.

Il tempo passa, le cose cambiano. L’auspicio che questa operazione non sia una semplice vetrina pubblicitaria ma che possa permettere a tecnici e risorse italiane di dimostrare anche qualcosa di più di quello che già egregiamente fanno. E che il marchio Alfa abbia una sua dignità ed autonomia. Non dimentichiamo che la Motor Valley italiana è viva e vegeta, da Ferrari a Dallara, passando per la Ducati e la Lamborghini, solo per citare i nomi più conosciuti.