F1 | Peter Revson: La velocità con stile

22 marzo 2014 – Tony Southgate è solo, seduto nel letto della sua stanza d’albergo. Braccia posate sulle ginocchia con mani congiunte e un casino infernale nella sua testa. Milioni di pensieri, timori e incubi realizzati. Non c’è nulla di tecnico, ma solo la consapevolezza della tragedia appena accaduta. Nella sua testa c’è casino, ma nella stanza un silenzio che tuona più di un temporale estivo spezzato solo dal bussare proveniente dalla porta. Southgate apre; è l’avvocato della famiglia Revson che esclama: “Vogliamo avere spiegazioni sulla morte di Peter Revson”. Ebbene si. Peter Revson già non c’è più.

revsonsmilePeter Revson nasce il 27 febbraio del 1939 già con indosso camicia e cravatta. I Revson non sono una famiglia qualsiasi, ma eredi e proprietari di un’impero della cosmetica. Il nonno di Peter, Charles, è diventato un magnate tra i più ricchi del mondo e Peter ne sarà il degno erede. Forse. Peter Revson studia nella prestigiosa Cornell University e all’età di 21 anni ha il primo assaggio con le corse. Inizia a correre nelle Hawaii al volante di una Morgan e ci da come un matto per 2 anni. La famiglia sostiene questo suo “svago” pensando che tutto ciò fosse un “hobby per ricchi” e nulla più. Niente di più sbagliato. In questo ambiente Revson ci si trova bene, anzi benissimo. Tutti cominciano a chiamare “Revvie” o “Revvo” questo ragazzo che di “figlio di papà” ha solo il cognome, ma solo per diritti anagrafici.

“Revvie” è uno spirito libero e puro al 100%. Ama la vita, lo stile, la velocità e le belle donne; ma non per forza nello stesso ordine.Dopo 2 finanziati dalla famiglia, Peter Revson vende tutto ciò che ha e vola in Europa per cercare un volante nelle categorie che contanto. 12.000 dollari sonanti per un volante in F3. La vita del giovane pilota è l’esatto opposto di quella tutta sfarzi e agi che aveva negli USA. Dorme principalmente su un camion del team, ma non era difficile trovarlo dormire sulla spiaggia a Montecarlo o nel garage a Zandvoort, ma sempre in buona compagnia. Revson aveva talmente tanto stile che avrebbe attirato a se sventole da capogiro anche se avesse passato la notte in un bagno pubblico a Calcutta.

revsonindiDopo un anno europeo, “Revvo” torna negli states con 6.000 dollari in tasca e un’offerta per correre in F1. Sarà una bolla di sapone, ma si toglie lo sfizio di correre con una con un’antidiluviana Lotus 24 a Spa nel 1964 ottenendo un eccellente 4° fila in qualifica. Nel 1965, Revson lascia le monoposto e corre con una Ford Gt40 in coppia con Skip Scott ottenendo un numero considerevole di vittorie, ma bisogna farsi le ossa nelle gare americane prima di sfondare in Europa. In 5 anni negli USA, Revson si fa ossa, denaro e la reputazione di un pilota velocissimo come pochi. Corre in Can-Am e Trans-Am e, all’incirca nel 1968, conosce la Mclaren e Teddy Mayer con la quale instaura un rapporto di forte e solida amicizia, in quanto entrambi condividevano il dolore per la perdita di un fratello nelle corse (Timmy Mayer morì con una Cooper nel 1964 mentre Douglas Revson perì in una gara in Danimarca nel 1967). Nel 1969 è grandioso 5° alla 500 miglia di Indianapolis, mentre l’anno dopo è secondo alla 12 ore di Sebring in coppia con un’altra icona del motorsport e non solo: “Steve Mcqueen”.

Nonostante tutto, Revson attira su di se critici che lo considerano un pilota non da top team. Nel 1971 “Revvo” è pronto a zittire tutti. Firma ufficialmente con la Mclaren che gli affida il programma Can-Am dove domina a mani basse e, non pago, sorprende alla 500 miglia di Indianapolis proprio come 2 anni prima. La ciliegina sulla torta arriva col debutto in F1 al Gran Premio degli Stati Uniti a Watkins Glen con una 3° Tyrrell schierata dal team del boscaiolo. A Teddy Mayer basta e avanza e lo ingaggia per il 1972 nel team di F1. Al primo anno nella categoria regina, Revson sbalordisce: ottiene 4 podi una pole e, sopratutto per lui, corre con la Mclaren sponsorizzata Yardley. La Yardley era una concorrente diretta della Revlon e potete solo immaginare la portata dello schiaffo morale rifilato alla famiglia che, dopo la morte del fratello, lo aveva quasi ripudiato. A fine anno, Revson è 5° con 23 punti; un risultato oltre ogni più rosea aspettativa.

revson__spainMa il meglio deve ancora venire, e il 1973 è l’anno che lo lancia nei grandi della Formula 1. Revson porta a casa la prima vittoria in carriera al Gp di Gran Bretagna e replica qualche mese più tardi a Mosport in Canada a poche ore di volo da casa sua. Un secondo posto Kyalami e un terzo a Monza, più una bella sfilza di piazzamenti a punti, lo mettono ancora quinto nel campionato piloti dietro solo a Stewart, Cèvert, Fittipaldi e Peterson; ovvero gli alfieri delle Tyrrell 006 e Lotus 72D le macchine migliori dell’epoca. Ormai Revson non è più un figlio di papà ribelle, ma un pilota fatto e finito con di fronte a se un futuro da leone nel mondo delle corse. Intraprende una relazione seria con Marjorie Wallace, futura “Miss Mondo”, e inizia la stesura di un libro, che verrà pubblicato dopo la sua morte, intitolato “Speed With Style”. Velocità con stile. In tre parole tutto quello che era Peter Revson.

Nonostante tutto questo, qualcosa con la Mclaren si incrina irrimediabilmente. La Yardley lascia spazio alla Texaco che impone Emmo Fittipaldi come pilota. Meyer l’accontenta sacrificando proprio Revson alla quale viene offerta una terza macchina semi-ufficiale. “Revvo” rifiuta e, dopo vari contatti con la Ferrari, sceglie un team emergente come lui: la Shadow.

Il 1974 inizia con la veloce ma acerba Shadow DN1. In Argentina è un incidente a fermarlo, mentre in Brasile il motore surriscaldato lo costringe ad un ritiro preventivo. In qualifica, però, non era andata male con un 4° posto in Argentina e un 6° in Brasile. Per il Sudafrica le aspettative sono tante, con un’evoluzione importante dal punto di vista delle componenti. Svariate parti della vettura furono riprogettate in titanio per garantire maggior leggerezza e, in teoria, robustezza. Il 22 marzo del 1974, la Shadow prenota un test in vista del Gran Premio del Sudafrica che ci sarebbe stato da li a pochi giorni. Revson scende in pista con la DN1 evoluta. Paio di giri per prendere feeling con la macchina poi inizia a spingere. Alla “Barbecue Bend” (la seconda curva del tracciato sudafricano) un dado della sospensione si trancia e la vettura si schianta a fortissima velocità contro le barriere. Hulme, giunto poco dopo, si ferma a soccorrere l’amico ed ex compagno, ma è troppo tardi. Revson giungerà all’ospedale di Kyalami ormai cadavere e a Southgate e Kerr non resterà che riconoscere la salma.

Nel suo libro scrisse: “Per me, il successo non si misura dalle cose materiali che hai ma, piuttosto, da quello che realizzi. Secondo alcuni è il risultato che conta, lo stile non significa nulla. Uno scrittore francese disse che un gentleman è una persona che non mina mai l’autostima altrui. Penso che sia la definizione migliore che abbia mai sentito… “. Un aforisma che descrive meglio di tante parole un Peter Revson morto da eroe. Eroe si. Perchè ha detto di non ad una vita fatta di agi e si è dedicato in tutto e per tutto alla sua passione:la velocità. Un’uomo che ha avuto il coraggio di vivere poco ma vivere sul serio, rispetto a vivere tanto ma dentro degli schemi, non può che non essere considerato un eroe.