10 ottobre 2013 – Nei film western degli anni ’70, c’era sempre il tempo per una sfida tra uomini. Ci si incontrava alla solita ora, nel solito posto e con la solita modalità. A mezzogiorno in punto, davanti al saloon e allo scoccare di mezzogiorno qualcuno dei 2 doveva morire. In Formula 1 è, quasi, la stessa cosa. Ci si trova nel primo pomeriggio, a Suzuka e uno dei due sarà campione del mondo.
Non sono storie di “spaghetti western” alla Sergio Leone quelli raccontati di seguito, ma numeri veri. 24 edizioni del Gran Premio del Giappone a Suzuka, 11 volte il campione del mondo è stato consacrato li e in altre 4 edizioni sono avvenuti fatti che hanno dato una svolta netta in una qualsivoglia direzione. Sembra davvero che il celeberrimo regista italiano ci abbia messo la penna, ma è tutto vero.
La prima edizione del Gran Premio del Giappone si corre nel 1987 ed è subito “spaghetti (pardòn.. sushi) western”. Mansell deve recuperare 13 punti al rivale, eterno, Piquet in 2 gare e deve assolutamente vincere a Suzuka. Gran botta nelle libere e il “leone d’Inghilterra” non può fare altro che assistere dall’ospedale alla parata trionfale del compagno. Bang! La prima vittima è andata.
Nel triennio successivo i Clint Eastwood e Gian Maria Volontè della situazione sono Senna e Prost. Nel 1988 Senna sbaglia la partenza ma rimonta come un dannato e supera Prost approfittando di un indecisione del “professore” in un doppiaggio. Nel 1989 Prost è davanti, ma ha in mente il film (non alla Sergio Leone ma alla Horror by Dario Argento) dell’anno prima e tenta di buttare Senna non appena il carioca lo attacca alla chicane del triangolo. Risultato: Prost di deve ritirare Senna riparte e rimonta vincendo la gara ma verrà squalificato consegnando il titolo al francese. Quello che verrà dopo non ha il sapore della sfida alla “sushi western”, quindi è meglio lasciar correre. L’anno dopo, sempre a Suzuka, i ruoli sono invertiti e Senna tira una bella macchinata a Prost al via. Il mondiale stavolta va al carioca con buona pace (si fa per dire) di tutti.
Nel 1991 la musica alla Ennio Morricone suona sempre nei caschi dei piloti. I duellanti all’ “Ok Corral” stavolta sono Senna e Mansell. Senna può permettersi il lusso di arrivare secondo mentre Mansell deve vincere e sperare che il brasiliano vada oltre il 3° posto. Dopo 10 giri Mansell esagera con un escursione nell’erba dove danneggia irreparabilmente la sua Fw-14 e si ritira. Ennesimo duello perso dal campione inglese che, per non correre nessun rischio, nel 1992 arriva a Suzuka col mondiale già in tasca.
Suzuka non assegna nulla, se non l’unico titolo costruttori nel 1995 alla Benetton, per un paio d’anni, ma ci mette lo zampino nel 1994 quando, con una strategia troppo conservativa, Schumacher si mangia un “match-ball” e rimette in corsa per il titolo Damon Hill. I fatti di Adelaide li conosciamo tutti.
Nel 1996 il “colonnello Douglas Mortimer” (Damon Hill) è insidiato da “el Indio” (Jacques Villeneuve) e si trovano alla sfida finale ancora a Suzuka. Villeneuve segna la pole ma ha una partenza disastrosa che lo relega al 6° posto. Il canadese rimane bloccato a lungo dietro a Irvine ma risale fino al 4° posto. La rimonta di Villeneuve si ferma al 37°esimo si giro per la rottura della sospensione posteriore destra con tanto di gomma che, pericolosamente, vola in mezzo alla folla. Damon Hill è campione del mondo 28 anni dopo il padre Graham. Suzuka porta scalogna a Villeneuve che nel 1997 ha l’occasione di chiudere il mondiale (si presenta con 9 punti in più rispetto Schumacher) ma un’errore clamoroso in qualifica (sorpasso con bandiere gialle) le costò la squalifica e Schumacher, vincendo, riaprì il mondiale.
Nel biennio 1998 e 1999, il pistolero con la carabina Winchester ancora fumante ha il capello biondo e un’amore viscerale per la Mclaren: Mika Hakkinen. Il bandolero colpito è Micheal Schumacher, nel 1998, che saluta le speranze iridate, logicamente a Suzuka, al via, lasciando spegnere la sua F300 e ritirandosi per esplosione della gomma posteriore sinistra dopo una rimonta furiosa. L’anno successivo, al via del Gran Premio, il pistolero finlandese scatta come un proiettile e diventa imprendibile. Lo sceriffo (di sventole da paddock) Eddie Irvine, sempre su Ferrari, può fare poco o nulla.
Nel 2000 si invertono i ruoli. Il bandolero tedesco dal mento importante si rifà portando il titolo piloti che nella sua contea rossa e dalla passione incontenibile (Maranello) mancava da 21 anni. 3 anni più tardi Suzuka vive un altro duello da “mezzogiorno di fuoco”. Il bandolero vince senza rivali da 2 stagioni ma quell’anno arriva a Suzuka con 9 punti sull’erede del suo vecchio rivale: Kimi Raikkonen.Aiutato dal suo fido scudiero Barrichello, il bandolero tedesco diventa il pistolero più vincente del west , il bandito (si fa per dire!) più ricercato. 6 volte campione del mondo. Il giovane Raikkonen sceglierà un’altra sede per la rivincita (sul destino ma non sul bandolero leggendario). Nel 2006 Suzuka consegna di fatto il titolo ad Alonso (stavolta il bandolero è tradito dalla sua Colt 1873 rossa..) ma ufficialmente lo vincerà ad Interlagos.
Per le due stagioni successive (2007 e 2008) Suzuka non ospita il Gran Premio del Giappone e nel 2009 e 2010 non influisce particolarmente nell’esito del mondiale. Nel 2011 il cowboy è un giovane che sta vincendo tutto e deve colpire un esperto sceriffo alla sua stagione migliore dall’arrivo nella contea di Woking: Jenson Button. Con un margine di 124 punti con ancora 5 gare, Vettel praticamente sparò a 3 centimetri dallo sceriffo sul cavallo argentato. Titolo al tedesco e sceriffo sbattuto nella lotta per il secondo posto. Nel 2012 Suzuka non assegna nulla, ma col ritiro di Alonso al via Vettel si portò in testa al mondiale e non la mollò più, fino al finale a Interlagos.
Suzuka può anche quest’anno assegnare il titolo mondiale piloti. A Vettel serve guadagnare 23 punti su Alonso per laurearsi campione del mondo. Tanti, forse troppi, ma al di fuori delle porte ad ali del Saloon di Suzuka si sono scritte pagine di duelli all’ultimo punto, di miracoli sportivi e di pistoleri dal piede pesante quanto era veloce la mano di Django.