La Ferrari che vinse il titolo nel 1956 con Fangio passò alla storia col curioso nome di Lancia Ferrari D50 e i trionfi di quell’anno fecero presto dimenticare le vicende legate a quella curiosa denominazione. Una unione che permise di battere la Mercedes.
La macchina che Ferrari schierò per il 1956, con le modifiche dovute ai cambiamenti regolamentari, fu frutto di un accordo tra il gigante modenese e Gianni Lancia, col quale il costruttore torinese s’impegnava a cedere tutto il materiale della squadra corse più le bisarche e i chassis nudi.
Il perché si arrivò a questo curioso quanto storico accordo è presto detto: Gianni Lancia erede della tradizione Lancia che si caratterizzò per la costruzioni di prestigiose vetture, tra cui quella attuale del nostro Presidente della Repubblica, quando prese il timone dell’azienda caratterizzò la fabbrica oltre che per il prodotto d’eccellenza anche per la ricerca continua in campo automobilistico.
Con l’apporto di Vittorio Jano riuscirono a creare il primo v6 per una macchina di serie e, soprattutto, una macchina da competizione che avrebbe presto fatto parlare di se.
La monoposto creata dalla casa torinese, denominata D50, fu decisamente innovativa e al suo esordio la nascente stampa specializzata dell’epoca si focalizzò sulla posizione dei serbatoi posti al lato corpo vettura, tralasciando altri particolari di valore come le sospensioni a ruote indipendenti a ponte de dion al retrotreno, e il cambio posto in posizione trasversale, idea poi ripresa da Mauro Forghieri nel 1975. Inoltre un peso ridottissimo per gli standard dell’epoca completavano il quadro.
La gestazione iniziale non fu facile: la messa a punto risultò complicata e le sospensioni dovettero essere riviste per compensare all’alleggerimento del corpo macchina dovuto allo svuotamento dei serbatoi. Nonostante questo al suo debutto in pista impressionò gli addetti ai lavori, candidandosi al ruolo di sicura protagonista.
L’improvvisa morte del pilota di punta, Alberto Ascari che perì in un incidente dalla cause ancora misteriose a Monza su una Ferrari sport, si unì una situazione aziendale difficile che obbligò Lancia a interrompere l’attività della squadra corse. La situazione finanziaria era talmente precaria che poco dopo anche il Patron Lancia cedette tutta l’azienda a una finanziaria per andare in Brasile ad occuparsi di altro.
All’interno della Lancia si crearono presto due fazioni, una volta a conservare il materiale tecnico e l’altra decisa ad abbandondare tutto il know how acquisito senza valorizzarlo in alcun modo.
Fortunosamente prevaricò la prima e, trapelata la notizia i più agguerriti concorrenti fecero a gara per aggiudicarsi il prezioso materiale. Tutti meno Enzo Ferrari.
Ferrari, oltre che per le macchine stupende, era già famoso per il carattere arcigno e tenace, condito da una buona dose di orgoglio e in quell’anno, siamo nel 1955, non riusciva a digerire di essere costantemente battuto dalle Mercedes. Soprattutto non riusciva a dare un indirizzo alla sua squadra corse che, in preda alla confusione più totale, alternava in pista diverse monoposto ottenendo solo una fortunosa vittoria a Montecarlo con Trintignant, l’ultima prima dell’arrivo di Niki Lauda.
In questo quadro nebuloso, fu grazie all’intervento del suocero dell’avvocato Agnelli, conte Filippo Caracciolo, che, per rafforzare la scuderia italiana e non offrire vantaggi alla concorrenza, riuscì ad ottenere un accordo a tre tra Ferrari, Lancia e Fiat col quale Gianni Lancia cedette tutto il materiale della squadra corse alla Ferrari mentre la Fiat riconosceva al costruttore modenese un congruo contributo.
Una volta a Maranello, i tecnici, guidati da vittorio Jano, rimasero stupiti dal livello d’innovazione raggiunto dalla D50 che rappresentò una base di sviluppo notevole per tutte le Ferrari fino all’introduzione del motore posteriore che fece trovare al solito la Ferrari impreparata.