F1 | Vettel e Schumacher, quel déjà vu che inganna

Il ritiro di Vettel in Bahrein riporta i tifosi indietro di vent’anni. “Vettel come Schumacher nel ’96” rievoca Montezemolo, ma i due episodi sono realmente paragonabili?

di Cristina Capruzzi
Tu chiamali se vuoi...déjà vuTu chiamali se vuoi…déjà vu.
Una scena che ci sembra di aver già visto ed ecco che il nostro cassetto della memoria improvvisamente si apre. È così che le immagini della fumata bianca dal retrotreno dalla Ferrari di Sebastian Vettel, durante il giro di ricognizione del GP del Bahrein, ha riportato alla mente di molti, tra cui l’ex N°1 del Cavallino Rampante Luca di Montezemolo, il ritiro di Schumacher durante il giro di formazione del GP di Francia 1996. Dai ricordi ai paragoni, il passo è stato breve, ma l’apparenza, si sa, talvolta inganna ed il déjà vu finisce così per schiudere la porta a riflessioni più profonde, che vanno oltre l’oziosa e superficiale associazione episodica. Dietro cui si celano invece, discordanze non indifferenti.

Niente è come sembra
Se la SF16-H è una macchina nata sulla linea della continuità per concretizzare quanto cominciato dalla nuova gestione nel corso del 2015, grazie anche ad una coppia di piloti ormai consolidata, la F310, al contrario, era invece la vettura della svolta. Nuova line-up (Schumacher e Irvine al posto di Alesi e Berger), nuova aerodinamica, nuovo cambio e soprattutto nuovo motore (fu la prima Ferrari spinta da un motore V10) che rendevano legittimo dunque ogni dubbio sull’effettiva competitività dell’intero pacchetto. Se l’inizio di stagione immediatamente in salita quell’anno era quindi un timore più che lecito tra le fila degli uomini del Cavallino, psicologicamente già preparati a fare i conti con faticose rincorse, per la Ferrari di oggi, l’ansia da recupero, dentro una stagione in cui è vietato sbagliare, rischia di tramutarsi in un pesante fardello di cui doversi disfare al più presto.

due Ferrari, due velocitàDue Ferrari, due velocità
Inoltre, se la vettura che segnò il debutto “in rosso” di Kaiser Schumy, oltre che carente sul piano dell’affidabilità, era anche una macchina lenta (almeno nelle prime fasi del Campionato), con distacchi sopra il secondo al giro, che costringevano spesso i due ferraristi a umilianti doppiaggi, altrettanto non si può certo dire della più recente SF16-H, non così manchevole in termini di potenza. Seppur fragile come il cristallo, la nuova vettura ha dimostrato infatti di essere capace di difendersi bene sul giro secco ed in grado di sostenere il ritmo delle frecce d’argento sulle lunghe distanze, con distacchi tutto sommato contenuti e prestazioni molto più vicine ai diretti rivali. Decisamente più di quanto invece non fosse la F310 considerata dall’istrionico Irvine “un catorcio inguidabile”.

Battere e non solo battersi.

Se quelli erano dunque i giorni della pazienza, con una squadra in piena rifondazione ed in cerca di una nuova identità, quello del 2016 non può essere considerato un anno di transizione. Se la rottura del Bahrain poi sarà, stando alle parole dell’ex Presidente Montezemolo, “un segnale ben augurante”, che faccia da preludio come allora all’inizio di un nuovo imminente ciclo vincente, solo il tempo ce lo dirà.

Di certo deve essere uno sprone a capitalizzare quel potenziale che la Ferrari di oggi ha in canna. Perché, se per vincere l’affidabilità è tutto, i podi conquistati e la velocità dimostrata fin qui, rischiano di non contare un bel nulla. Come le belle parole e i nostalgici corsi e ricorsi per trarre favorevoli auspici.

Cristina Capruzzi