F1 | Storia, Tommy Byrne : Il fenomeno mai visto

3 luglio 2014 – Se pensate che Mansell sia il più grande pilota Britannico, che James Hunt incarni più di tutti gli altri lo stereotipo di genio e sregolatezza e che Lewis Hamilton sia stato il giovane terribile ad aver corso per la Union Jack, lasciate perdere e dimenticare tutto. Ladies and gentleman oggi si parla di un mito, un fenomeno e colui che se avesse bevuto qualche birra in meno e salvato qualche moneta in più oggi sarebbe una leggenda della Formula 1: Tommy Byrne.

Già solo per come viene al mondo, Tommy Byrne ha tutti gli attributi per essere un predestinato. byrnefotoNasce sul sedile posteriore dell’auto di famiglia, lanciata a tutta velocità in direzione dell’ospedale ostetrico più vicino. E’ il 6 maggio del 1958. Byrne nasce con la velocità negli occhi e mentre gli altri bardotti alla sua età cercano la gioia in un pallone, lui la cerca in un volante. A manco 18 anni, il giovane pischello Byrne ha già all’attivo un paio di rally, corsi su fondi mai uguali, a bordo di una Mini. La Mini ha preso botte in ogni anfratto del suo telaio ma lui almeno il nome se l’è fatto. Ma a Byrne manca qualcosa.

Sale su un’autobus con 15 sterline contate in tasca e va a provare una Formula Ford 1600 al Mondello Park. E’ amore a prima vista. Nel suo libro autobiografico, Byrne ne parlò manco fosse la prima volta che ha fatto l’amore o la prima canna con gli amici: “Da quel momento, non sono riuscito a pensare ad altro”.  E’ la scintilla che accende un fuoco destinato a non spegnersi per molto tempo.

Si butta in F.Ford trovando fondi nel rivendere la vecchia Mini, ormai racalcitrante, e facendo anche qualche lavoretto extra. Tra i vari lavoretti extra si vocifera che il furto di automobili fosse quello da lui più gradito. Byrne smentisce, ma non nega che qualche pezzo qua e là se l’è davvero preso. Nel 1977 riesce a presentarsi in F.Ford con una Crossle, ma è talmente inguardabile che decide di iscriversi ad una scuola di pilotaggio. Dategli tempo.

L’anno dopo vince una gara, solo perchè il suo deretano è più grosso di quello delle tardone con cui si intratteneva, ma al Nurburgring arriva la svolta. Su quel nastro d’asfalto in mezzo a boschi, castelli e rail  taglia anime, dove per vincere devi ragionare il meno possibile e sfogare tutto il tuo talento come dietro un bancone da bar con in mano una birra, Byrne trova la sua dimensione di vita. Domina letteralmente la gara ottenendo: pole, vittoria, Gpv e rifilando distacchi da calendario Maya a tutti.

Da li in poi, è tutta un’ escalation di trionfi. Nel 1980, vince il campionato di F.Ford 1600 con ben 20 vittorie, nel 1981 salta sulle più cattive 2000 e comincia a prendere a schiaffi anche sportivamente i rivali. La Van Diemen ha sotto contratto un brasiliano dal piede tosto e dal futuro già segnato. Tale brasiliano, però, viene richiamato dalla famiglia in patria perchè non vedono di buon occhio la sua carriera nel mondo delle corse. Tale brasiliano si chiama Ayrton Senna da Silva e sarà solo una pausa di riflessione da ciò per cui è venuto al mondo. Byrne, che di cose per cui è al mondo ne ha parecchie, viene chiamato a sostituirlo e lui salta subito a ritroso nella carriera normale di un pilota, andando a vincere il Formula Ford Festival a Brands Hatch e guadagnandosi il supporto per una stagione in F3 inglese. E’ conscio che per la sua situazione deve sempre stravincere per salvarsi il posto; lui che di deretani è abituato a calciare quelli maschili e a toccare quelli femminili, ma di leccare quelli che contano non ci pensa neanche.

In 3 gare, ottiene 2 vittorie e un ritiro ma ciò basta per farlo notare. La gara di Silverstone viene corsa come contorno al GP di Gran Bretagna di Formula 1 e Sid Taylor della Theodore lo contatta. Vuole dare a Byrne una macchina per vedere come si comporta l’irlandese. Qualificare una macchina già competitiva come un pachiderma per di più con montato un aspirato in piena era Turbo è un’impresa da Highlander, ma Byrne ci riesce per ben 2 volte. In tutti e due i casi si deve ritirare per guai meccanici e il fatto che mandasse a quel paese mezzo box che lo rimproverava per le sue scorribande, fa si che non arrivi nessuna conferma. Byrne decide di buttarsi nuovamente in F3 per tentare di vincere il campionato e (con ben 5 gare in meno all’attivo) ci riesce alla grande, guadagnandosi la possibilità di svolgere un test con la Mclaren Mp4\1 a Silverstone. La chances della vita!

byrnesilverstonemclarenQuel giorno a Silverstone poteva davvero scriversi un’altra storia dell’automobilismo. A numeri e fatti è stata realmente scritta; peccato che nessuno l’abbia mai letta. Una storia scritta in una mattina d’inizio novembre inglese: poesia già di per sé. I piloti ufficiali della bella e terribile Mp4/1 Lauda e Watson, hanno girato su un 1:12:oo sul vecchio disegno del tracciato. A giocarsi la svolta della carriera, sono: Byrne, Boutsen, Johansson, Scott e Mansilia. Inizia il giovane svedese che stampa un bel 1.12. “Not Bad” di Tyler Alexander (a far le veci di Dennis) ma ci sono altri che devono provare. Tocca al belga Boutsen e i tempi scendono. 40 giri con best time bloccato sul 1.10.9. Strabiliante, ma niente di astroscentifico se si pensa che Boutsen ha già un titolo F2 in tasca. Tocca a Byrne che mette i guardia uno scettico Alexander che nelle narici ha più odore di Scotch invecchiato che di benzina; quello che accade dopo è fantascienza pura. Tommy Byrne stampa un 1.10.1,terzo miglior crono di sempre con una Mclaren ad effetto suolo, per svariate volte consecutive con un passo gara che le avrebbe permesso di chiudere con oltre 20 secondi sul secondo classificato e con gomme non adatte ad un clima invernale come la vigilia di natale. Scott e Mansilia, suoi diretti rivali in F3, si beccano oltre un secondo netto al best time di giornata. A fine test, Byrne disincantato e con l’aria di chi è conscio di essere in un mondo tutto suo, ma dominato da gente che non vale una cicca di lui, dirà che tutto ciò è inutile per il suo futuro e che un ruolo di tester alla Mclaren proprio non lo attrae. Dennis lo silura ancor prima di leggere la sua cartella tempi. Finisce così la carriera di Byrne Tommy in Formula 1.

Da qui in poi, inizia la vera vita di Tommy Byrne. Basta test comandati, basta culi da leccare (e mai leccati), basta tutto. Tommy Byrne corre solo per divertirsi e lo fa con l’ande di chi è nato per fare ciò, sempre col suo stile. Correrà per Eddie Jordan (“Dimenticatevi Senna o Schumacher, il pilota più forte di tutti i tempi è Tommy Byrne!” Autosprint “Cuore da Corsa” del mito Mario Donnini) giocando caleidoscopicamente con la cromatura dei capelli del nuovo datore di lavoro per il suo “limonare” con la qualunque entità femminile durante i briefring pre gara o per presentarsi dopo una notte passata a dormire chissà dove a 10 minuti dalla fine delle qualifiche e stampare inesorabilmente la pole. In F.Atlantic, correrà con Desirè Wilson e si divertirà a farle saltare pezzi dalla sua vettura perchè li riteneva più performanti rispetto ai suoi (avendo spesso ragione). A Macau è conscio che per battere il perfezionista e astemio Senna, bisogna fargli prendere una piega alcoolica. E lo farà mischiando il succo d’arancia del brasiliano con un bicchiere di vodka la vigilia della gara a Macau. E poi: Indy Light, Can-am, Gt; una serie inesorabile di categorie e treni passati ma mai presi in tempo. Sempre perché considerato ingestibile; ma un talento indomito gestibile non si è mai visto e mai si vedrà.

Da quel Novembre 1982 in poi, è iniziato il Byrne pensiero. Il pensiero tramutato in vita di un’uomo che con casco bandit in testa a mo’ di elmo medioevale ha fatto vedere solo una parte di ciò che sapeva fare. Non c’entrano infortuni o altro, ma solo il fatto che era l’antitesi del pilota modello che si stava formando quegli anni. Dimenticatevi Hamilton o Hunt, se parlate di piloti del Regno della Regina Elisabetta, prima di trarre conclusioni, ricordatevi di Tommy Byrne: colui che con qualche birra in meno e con qualche sterlina in più in tasca, avrebbe sfondato nel mondo delle corse.