IndyCar | Josef Newgarden fa back-to-back alla Indy500

Joseph Newgarden ha vinto l'edizione 108 della 500 Miglia di Indianapolis. Vediamo comè andata.

Joseph Newgarden (Team Penske), Indianapolis #Indy500 (2024) Photo credit: Joseph Newgarden via X

La 108° edizione della 500 Miglia di Indianapolis è stato, come sempre accade, l’evento principe del Month of May per quanto riguarda il motorosport a stelle e strisce. Nonostante i rumors che si rincorrono a causa dello scandalo che ha investito il Team Penske, “The Captain” si è presentato sull’ovale più famoso al mondo con quella che, a tutti gli effetti, è sembrata fin dalle prime battute la squadra da battere. Il Team aveva già vinto lo scorso anno con Josef Newgarden e, l’americano, aveva tutta l’intenzione di provare a ripetersi. Scott McLaughlin e Will Power completavano un tridente che, aiutato dal motore Chevrolet, avrebbe senza ombra di dubbio cercato in tutti i modi di dare l’assalto al The Borg-Warner Trophy.

Detto fatto, verrebbe da dire. Dopo le qualifiche, i tre ragazzi di Roger Penske hanno monopolizzato la prima fila: pole position per Scott McLaughlin con tanto di record di velocità media sui quattro giri (376.940 km/h), al secondo posto Will Power e terzo posto per Josef Newgarden. Stupisce il lavoro del Team Arrow McLaren, in grado di piazzare tre piloti in top ten: Alexander Rossi, Kyle Larson e Pato O’Ward, rispettivamente quarto, quinto e ottavo. Risultato decisamente non scontato viste le difficoltà della squadra nei precedenti appuntamenti. Non hanno purtroppo brillato i piloti “part time” -e ne parleremo dopo-, ovvero coloro che partecipano alla 500 miglia di Indianapolis e negli altri appuntamenti su ovale: Takuma Sato (Rahal Letterman Lanigan Racing), due volte vincitore, è partito dalla decima casella, con Ryan Hunter-Reay (Dreyer and Reinbold Racing) dodicesimo, Ed Carpenter (proprietario del suo team) diciassettesimo, Marco Andretti (Andretti Global) diciannovesimo ed Helio Castroneves (Meyer Shank Racing), quattro volte vincitore della Indy500, che è scattato dalla casella numero venti. Ancora più indietro Katherine Legge, portacolori del Dale Coyne Racing with Rick Ware Racing.

La gara ha visto continui rinvii causa temporale, finché finalmente la partenza non è stata data alle 22.45 ora italiana. Ricordiamoci che, per regolamento, la Indy500 può considerarsi valida solo se viene percorsa la metà più un giro, quindi 101 giri come obiettivo minimo. Se pensate che l’incertezza meteo abbia reso lo spettacolo noioso, cascate molto male: 87 avvicendamenti al comando su 200 giri in totale sono un dato impressionante. In pratica, la gara ha visto in media quasi un nuovo leader ogni due giri.

Alla partenza, i tre piloti del Team Penske sono scattati senza alcun problema, mentre nelle retrovie una carambola che ha visto l’uscita di scena di Marcus Ericsson, Pietro Fittipaldi e Tom Blomwvist provocava la prima Caution. Da qui, è partito l’incubo Honda. Marcus Armstrong è stato il primo Honda a rientrare ai box con un preoccupante fumo in uscita dal cofano motore. Ancora più esplicite le rotture di Catherine Legge (giro 22) e Felix Rosenqvist (giro 55) con vistose fumate provenienti dalla bancata di destra. Le Caution sono state in tutto otto e si sono susseguite durante tutto l’arco della corsa, senza concentrarsi nelle fasi finali dell’evento. Questo significa che, per il timore dell’arrivo della pioggia, tutti i piloti hanno cercato di portarsi fin da subito più avanti possibile in classifica, prendendosi rischi che, in alcuni casi, hanno dato luogo a contatti e cedimenti meccanici. Josef Newgarden è stato autore di una fase finale di gara ai limiti della perfezione, tallonato da un Pato O’Ward mai domo e che si è arreso soltanto in volata con un distacco di circa 3 decimi. Newgarden era forse il pilota più in crisi del Team Penske, quello più penalizzato dalla squalifica di “St.Pete”, ma che ha saputo piazzare il colpaccio al momento giusto. Ha completato il podio Scott Dixon (Chip Ganassi Racing), con una gara tutta in rimonta.

Intervistato dopo la gara, Josef Newgarden ha dichiarato:

“Adoro questa folla. Devo sempre andare in mezzo al pubblico quando vinciamo. Lo faccio sempre. Possono dire quello che vogliono dopo questa gara, non mi interessa più. Sono così orgoglioso della squadra, hanno dato tutto. Siamo venuti qui con le macchine più veloci, si sono dati da fare e il team Chevy ha fatto altrettanto. Luke [Mason], Tim [Penske], non sono qui oggi ma ne sono una parte importante. Sono davvero orgoglioso di tutti quelli che lavorano all’interno del Team Penske. Devo anche ringraziare Pato (O’Ward – NDR), perché è un pilota estremamente corretto e, se così non fosse, non avremmo concluso l’ultimo giro. Non ci sarebbe stato alcun sorpasso se entrambi non fossimo stati corretti”

È già la seconda volta che Pato O’Ward vede sfumare la vittoria per pochi decimi. Accadde anche nel 2022, quando a spuntarla fu Marcus Ericsson. Nonostante lo sconforto, ha avuto comunque la necessaria lucidità per rilasciare alcune dichiarazioni:

“Sono orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto oggi; siamo continuamente risaliti e scesi in classifica. Il fatto è che alcuni guidavano come dei pazzi e siamo andati tante volte vicini a buttar via la gara, anche all’ultimo giro. Ho fatto fare all’auto cose che mai pensavo potesse fare, ma quando ho pensato di avercela fatta, Josef è sbucato dal nulla e mi ha battuto. Fa male, è molto doloroso quando dai tutto e non basta”

L’aspetto più preoccupante è, senza dubbio, il problema di affidabilità del motore Honda sui tracciati ovali. I tre cedimenti nella prima metà di gara sono un campanello di allarme per il costruttore giapponese, il quale è riuscito a colmare un po’ il divario con Chevrolet su questo tipo di piste, ma che rimane comunque gravemente insufficiente. Se guardiamo l’ordine di arrivo, infatti, possiamo notare che nei primi dieci ci sono soltanto tre motori Honda (Scott Dixon, Alex Palou e Kyle Kirchwood).

Da sottolineare -finalmente- una prova convincente del Team Arrow McLaren, con Pato O’Ward secondo e Alexander Rossi quarto. Menzione di merito per Santino Ferrucci: lo specialista degli ovali è stato autore di una prestazione solida e consistente in tutte le fasi della gara. Il pilota del A.J. Foyt Enterprises ha deliziato la platea con alcuni sorpassi all’esterno che non si vedono certo tutti i giorni. La speranza è che il nativo di Woodbury riesca a trovare più continuità anche sui circuiti tradizionali, dove troppe volte fatica a centro gruppo. Attenzione ad Alex Palou: lo spagnolo è notoriamente in difficoltà sugli ovali, ma il quinto posto di quest’anno ha consolidato la sua leadership in campionato e, se dovesse trovare continuità, rischia di essere davvero difficile batterlo. Il miglior rookie è stato Christian Rasmussen, giunto dodicesimo con una prestazione di assoluto rilievo.

Doverosa la considerazione in merito alla prestazione dei piloti veterani alla Indy500. Uno per l’altro hanno faticato tutti e, vedere una leggenda come Helio Castroneves classificarsi ventesimo deve far riflettere. Qui in Europa, infatti, si tende troppe volte a sminuire le gare americane perché ritenute serie inferiori rispetto alla Formula 1, ma basterebbe guardare la fatica che sta facendo Romain Grosjean (uno che in F1 ha ottenuto dieci podi) per capire che, forse, portare al limite queste monoposto non sia affatto banale. Occorre guidarle costantemente e in un week end di gara, non in qualche test sporadico per mantenersi in allenamento, magari con team “meteora” che partecipano soltanto a uno o due appuntamenti.

L’alleggerimento dovuto all’imminente adozione del motore ibrido ha reso le macchine più veloci degli anni scorsi. L’impressione è che un pilota-part time non più giovanissimo sia una figura un po’ troppo penalizzata, anche perché i giovani che si affacciano alla disciplina sono veloci e agguerriti. Inoltre, la IndyCar è una disciplina che si sta aprendo sempre di più anche ai piloti provenienti dall’Europa: se è vero che approdare in Formula 1 sia oltremodo complicato, è altrettanto vero che, le giovani promesse, guardano sempre più spesso oltreoceano. Parliamo, ad esempio, di Callum Ilott (ex Ferrari Driver Academy), Christian Lundgaard (ex Renault Sport Academy) o di Santino Ferrucci (ex Formula 3 e Formula 2), ma ce ne sono altri. Stesso discorso vale per i piloti usciti dall’orbita della F1 ma che hanno trovato una vera e propria seconda vita agonistica nella serie americana. È il caso di Marcus Ericsson (ex Caterham e Sauber, vincitore della Indy500 nel 2022), del suddetto Romain Grosjean (ex Lotus e HAAS) e di Alexander Rossi, passato nel 2016 in IndyCar dopo aver visto la sua carriera in procinto di fermarsi bruscamente a causa del fallimento della Marussia.

Archiviato il Month of May, la IndyCar tornerà in pista domenica 2 giugno sul circuito cittadino di Detroit.