Il Campione del Mondo 2009 ha chiuso la carriera da pilota titolare accettando un ruolo di riserva in McLaren per la prossima stagione. Diciassette anni spesi nella massima serie attraversando quattro “epoche” e lasciando un segno indelebile nella storia di questo sport. Grande talento per palati fini, capace come pochi di adattarsi alle condizioni meteo difficili, Jenson ha concluso la carriera F1 con un ritiro, proprio come nel GP d’esordio a Melbourne 2000.
Di Alessandro Bucci
Follow @AlexBucci_F1
Difficile rimanere indifferenti dinanzi al ritiro di Jenson Button dalla Formula 1. Il pilota britannico, scattato dalla dodicesima posizione ad Abu Dhabi, è stato costretto a rientrare per il cedimento della sospensione anteriore destra, dopo un brusco passaggio sul cordolo nei pressi di curva 11. Appena dodici giri per il Campione del Mondo 2009, prima di scendere dalla vettura e passeggiare lungo il paddock con tutta la famiglia. Grande assente, il compianto padre John, scomparso due anni fa per infarto, lasciando un grande vuoto nella vita di Jenson. Tutti i patiti di corse lo ricordano abbracciato alla bellisima modella Jessica Michibata (all’epoca compagna di Button) ogni qual volta il prode JB tagliava il traguardo per primo.
Il ritiro di Button alla sua ultima gara in Formula 1 ha riportato istantaneamente la memoria al GP d’Australia 2000, quando il britannico esordì al volante della promettente Williams BMW FW22, rimediando tuttavia una qualifica non proprio da ricordare (21° in ultima fila a fianco della Minardi di Mazzacane). All’epoca Jenson era un ragazzino inglese brufoloso, con un futuro brillante davanti a sé. La gara andò decisamente meglio, ma il cedimento del propulsore costrinse Button al ritiro nel corso del 46° giro mentre era in zona punti.
A bocce ferme, viene da chiedersi: che cosa ci lascia Jenson Button? Tanto, rispondo.
Innanzitutto, ha fornito un esempio di grande professionalità e si è sempre distinto come figura integerrima nei panni di pilota, non commettendo mai, e sottolineo mai, una scorrettezza nell’arco di diciassette stagioni. Il talento di Frome di sorpassi ne ha effettuati tanti, di rimonte ne ha compiute diverse, eppure mai è dovuto ricorrere a scorrettezze o tattiche poco edificanti.
Venendo alle sue caratteristiche tecniche di pilota, Jenson è sempre stato molto intelligente e sensibile alle condizioni climatiche miste, riuscendo, più di altri, ad interpretarle al meglio ed a realizzare fantastiche vittorie, una su tutte quella ottenuta a Montréal nel 2011.
Jenson ci lascia il ricordo di un titolo Mondiale conquistato dopo dieci anni di attesa, capitalizzando al meglio la felicissima anomalia chiamata Brawn GP BGP 001, vettura estremamente competitiva per via della solita geniale intuizione di Ross Brawn, nello specifico un estrattore aerodinamico a V sul quale fu basato l’intera progettazione della monoposto, la più vincente ogni epoca essendo stata nel Circus per un solo anno.
Button sarà ricordato per lo stile che lo ha sempre accompagnato dentro e fuori dalla pista, una caratteristica evidenziata dal considerare il casco ancora come un’icona, non cambiandone praticamente mai il disegno e limitandosi, tutt’al più, a modificarne i colori. Rosa per ricordare papà John, con tanto di Grande Puffo nel retro helmet, bianco, giallo evidenziatore e nero per onorare il titolo Mondiale 2009 conquistato con Brawn GP, bianco e rosso per ribadire l’attaccamento alla terra del Sol Levante e all’ex compagna Michibata ed altre varianti meno importanti.
Oltre trecento presenze per Jenson in diciassette anni di F1, 15 vittorie, 8 Pole position ed altrettanti giri veloci, 50 podi, l’ultimo colto matematicamente nel GP d’Australia 2014 in seguito alla squalifica di Daniel Ricciardo.
Sette anni alla corte della McLaren, con un secondo posto finale agguantato nel 2011 grazie anche ad un Lewis Hamilton più opaco del solito, l’inglese ha corso per sette scuderie, se contiamo anche i cambi di nome dei team (Benetton divenne Renault nel 2002, B.A.R. cambiò nome in Honda nel 2006 che poi a sua volta fu rilevata da Ross Brawn). Il primo podio arrivò in Malesia otto anni prima, così come la prima Pole position, ghermita in quel di Imola dinanzi a due mostri sacri dell’automobilismo che rispondono ai nomi di Michael Schumacher e Juan Pablo Montoya.
Sì, Jenson. Quando sei rientrato ai box ad Abu Dhabi la scorsa domenica, le lacrime hanno rigato il mio volto. Perché ricordo quando scrissi con la cancellina sotto al banco “Viva Button” in quel lontano 2000, colpito dal talentuoso pilota inglese che mostrava una maturità ed una fermezza degna di nota, unitamente alla guida riconoscibile e caratteristica di un vincente tutta testa e dall’aspetto fresco e genuino, sebbene leggermente celato. Quando lo vidi superare Jos Verstappen ad Interlagos, alla sua seconda gara in un’epoca ben diversa da quella odierna, ricordo che esclamai: “Quello diventerà Campione del Mondo”. E’ occorso molto tempo, ma come dice John Milton ne “L’Avvocato del Diavolo”, interpretato da un magistrale Al Pacino: “E’ bello aver ragione”.