
l’NTT IndyCar Series ha fatto tappa per la cinquantesima volta sul circuito di Long Beach. Il leggendario tracciato cittadino “vecchio stile” ha ospitato per otto volte anche le gare del Campionato Mondiale di Formula 1. Era chiamato “Gran Premio degli Stati Uniti d’America-Ovest” perché, a cavallo degli anni ’70/’80, la massima serie dell’automobilismo mondiale faceva tappa due volte negli States. L’altro appuntamento, infatti, denominato “Gran Premio degli Stati Uniti-Est” si correva sul velocissimo circuito di Watkins Glen, nello stato di New York. Già dai primi scorci, Long Beach rievoca scenari glamour a base di spiagge, barche e vita da sogno. Per questo motivo, è soprannominata la Monte Carlo degli Stati Uniti.
90 laps under the sunny skies of Long Beach! ☀️
Kyle Kirkwood leads the field into Turn 1 followed by Colton Herta and Felix Rosenqvist! pic.twitter.com/VKd5Rl7RII
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Tornando prepotentemente in argomento, la cinquantesima edizione del Grand Prix of Long Beach è già nella storia per essere la prima gara in assoluto che non ha visto l’ingresso della safety car. Nessuna caution, tutti i piloti arrivati al traguardo dopo i novanta giri in totale. La gara è stata vinta dal poleman Kyle Kirchwood (Andretti Global), seconda posizione per il leader della classifica Alex Palou (Chip Ganassi Racing), terzo posto per Christian Lundgaard (Arrow McLaren).
Up into a podium position @lundgaardoff passes @FRosenqvist for P3 with under five laps to go. pic.twitter.com/EzequPKq5L
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La gara non ha riservato sussulti per via di incidenti o imprevisti: tre soste ai box, strategie diverse, un solo vincitore. Al giro 60 Kirchwood ha cercato un cambio di ritmo poco prima del pit stop, in modo tale da assicurarsi quel minimo vantaggio che gli consentisse di stare davanti dopo l’ultima tornata di soste. Lo spagnolo ha provato a superare il portacolori di Andretti Global, ma Kirchwood è stato solido nella difesa durante il giro out per mandare in temperatura le gomme e si è involato verso una vittoria pienamente meritata già a partire dalle qualifiche. Dietro di loro è successo tutto e il contrario di tutto, a partire dal deludente risultato di Colton Herta (Andretti Global), compagno di squadra di Kirchwood che, partito dalla seconda casella, ha concluso in settima posizione dopo una gara dove non è mai entrato in sintonia con la macchina. Tutto sommato, però, c’è chi sta molto peggio di lui. Ma ci arriviamo.
Il tema centrale, nonché leitmotiv di queste prime tre gare è, senza alcun dubbio, il disperato bisogno di avversari da mettere di fronte ad Alex Palou e al Team Ganassi. Partire in nona posizione a Long Beach è tutt’altro che ideale, ma l’impressione è che lo spagnolo sia attualmente ingiocabile. Ha una visione di gara totale, sa esattamente quando spingere e quando stare lontano dai guai e la sensazione è che sappia esattamente quando girare l’interruttore e fare la differenza. Se a questo stato di forma aggiungiamo le strategie perfette del suo team, e che il pilota spagnolo non è mai partito bene come in questo 2025 -nemmeno nelle stagioni in cui si è laureato campione- la situazione è piuttosto chiara. È vero che il sistema di punteggio della IndyCar premia tantissimo anche chi arriva dietro, è vero che ogni gara è imprevedibile, ma capiamo tutti bene che se quando va male fai secondo, per gli altri la faccenda rischia di diventare un attimino complicata.
P1, P1 and P2
Dominant start to 2025 for @AlexPalou! pic.twitter.com/PeuGSrEZF2
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Obiettivamente, se si guarda fuori dal box di Ganassi, la situazione è decisamente confusa. Andretti Global dopo i vari avvicendamenti sembra in netta ripresa, ma l’impressione è che se un week end nasce bene si fa la pole position e si punta a vincere, se nasce male i piloti remano senza riuscire a venir fuori dalle posizioni di rincalzo. Con la “gara bella ogni tanto”, contro la giallo-rossa numero 10, non si va attualmente da nessuna parte. L’anno scorso il campionato lo avevano tenuto vivo i piloti di Penske e una seconda parte di stagione ben sopra la media da parte di Colton Herta. Ma, al momento, queste due condizioni sembrano non sussistere.
Se è vero che in IMSA il Team Penske è un vero e proprio schiacciasassi, in IndyCar il piatto piange e anche tanto. Il problema alle cinture di Josef Newgarden che lo ha fatto finire ultimo a oltre un giro di distacco è analogo a quello che lo scorso anno costò la lotta per il titolo a Will Power. Le gare da incubo per la monoposto numero 2 del team di “The Captain” iniziano a essere un po’ troppe. Salvano la baracca di casa Penske Will Power giunto quinto e Scott McLaughlin giunto settimo. Il problema delle qualifiche rimane, tuttavia, decisamente evidente. In questa IndyCar bisogna partire davanti se si vogliono avere ambizioni di vittoria, non si può continuare iniziando le gare nelle retrovie. Come detto dagli stessi piloti, infatti, il traffico c’entra fino a un certo punto: occorre tirar fuori il potenziale della vettura quando conta. Questa non è altro che l’ennesima dimostrazione che, se in una categoria difficile, combattuta e selettiva come la IndyCar, non sei a posto a livello di “pacchetto” (squadra, macchina, piloti), anche se ti chiami Roger Penske e sei di fatto il proprietario del circuito di Indianapolis, parti in fondo allo schieramento e le gare non le vinci.
TROUBLE for Newgarden on pit lane!
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Sul fronte papaya, risultato in chiaroscuro per il Team Arrow McLaren. Se Christian Lundgaard è arrivato brillantemente a podio, Pato O’Ward ha continuato con il suo solito mood e si è letteralmente perso nei meandri della classifica, giungendo tredicesimo. L’ormai cronica incostanza del pilota messicano rischia seriamente di compromettere le velleità di corsa al titolo. Con un Palou in questo stato di forma, certi cali non può permetterseli nessuno. Urge tornare davanti (e stabilmente – NDR) il prima possibile. Il mese di maggio è il mese di Indianapolis ma, soprattutto, occorre iniziare a pensare che il campionato finirà il 31 di agosto. Il tempo per mettere la testa a posto inizia a scarseggiare, perché i punti di distacco da Palou sono 62. Pato, ci siamo?
La gara ha evidenziato il progresso di alcuni team come Meyer Shank Racing e Juncos Hollinger Racing, i quali hanno messo in condizione rispettivamente Felix Rosenqvist e StingRay Robb di arrivare quarto e nono. Sting Ray Robb si è anche permesso il lusso di guidare la corsa per dodici giri, certificando un passo gara solido e una strategia ottimale. Rosenqvist, dal canto suo, ci ha già abituato a prestazioni di rilievo, attualmente è quarto in classifica con praticamente il doppio dei punti rispetto a Marcus Armstrong, suo compagno di squadra. Prema, dopo tre gare, sta iniziando a far vedere qualcosa di buono. Robert Schwartzman e Callumm Ilott sono stati autori di una buona gara, classificandosi rispettivamente al diciottesimo e al ventunesimo posto. I primi automatismi iniziano ad arrivare e i due piloti iniziano a conoscere sempre di più procedure e, soprattutto, la monoposto. Il trend si conferma in crescita, che è la cosa più importante.
Adesso bisognerà avere un momento di pazienza: si torna in pista il 4 maggio in Alabama, tra venti giorni esatti. E già inizia a sentirsi l’inconfondibile profumo della 500 miglia di Indianapolis. Mordete il freno, ci siamo quasi!
A new face on the top step pic.twitter.com/Eu978P8Fwu
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