In tempi di lotte e dissidi interni tra piloti, facciamo un salto indietro di 6 anni. L’ultimo e unico titolo mondiale di Nico Rosberg è segnato da una lotta senza precedenti con il compagno di squadra Lewis Hamilton.
L’ultima gara della stagione vedeva Rosberg in vantaggio su Hamilton di soli 12 lunghezze. Hamilton aveva vinto in Brasile e recuperava rapidamente terreno sul tedesco fino ad allora favorito per la vittoria del titolo. Ad Abu Dhabi va’ in scena l’ultima battaglia in pista dopo una serie di lotte interne tra i due, che hanno anche messo in crisi gli uomini al muretto. Ricordando il doppio zero in Spagna per un contatto tra i due rivali.
Hamilton nonostante tutto domina il weekend sin dal venerdì, pronto ad ottenere il massimo, indipendentemente dal risultato del suo compagno di squadre. Pole position e vittoria mai in discussione.
La rivalità si accende anche nel momento in cui i due contendenti sono lontani parecchi secondi di distacco. Rosberg resta secondo, posizione sufficiente per permettergli di trionfare per la prima volta in F1. Negli ultimi 7-8 giri un furbo Hamilton riduce vertiginosamente il ritmo, facendo ricompattare il gruppo, nella speranza che Rosberg possa perdere posizioni e quindi punti importanti che consegnerebbero la vittoria a Lewis.
Rosberg subisce vari attacchi da Vettel e dal muretto intimano a Lewis di non abbassare troppo il gap. Nulla di fatto. Rosberg, da osso duro quale è stato per l’intera stagione conserva la seconda posizione e vince il titolo mondiale. Una storia di rivalità interne, dissidi e voglia di primeggiare uno sull’altro. Una competizione e odio sportivo scoppiato dal 2015 in USA.
I conflitti interni in F1 ci sono sempre stati, in questo periodo storico in maniera ancora più evidente, alla luce di quanto successo tra Leclerc-Sainz e Verstappen-Perez. La storia insegna che è difficile avere due galli in pollaio e che, soprattutto, bisogna avere polso per gestire una situazione, dove, entrambi i piloti ambiscono al titolo e hanno i mezzi per poterlo fare.