Il futuro della F1 è carbon neutral, per causa di forza maggiore.
Intendiamoci, non è certamente una brutta cosa tendere ad un approccio più “verde” per la massima espressione motoristica al mondo. Analizziamo quale solco è stato tracciato da FIA per raggiungere gli obiettivi preposti del 2026.
Carburanti sostenibili, non ad emissioni zero.
Facciamo un passo indietro. Agosto 2022: la Fia annuncia il nuovo regolamento tecnico valido dal 2026. Nell’appendice al regolamento, disponibile a questo link, vengono illustrate le direttive cardine per i motori 2026.
Il primo paragrafo detta legge: tutte le componenti del carburante devono essere completamente sostenibili.
Badate bene, “completamente sostenibili” non significa emissioni zero. Bensì significa che la CO2 emessa dalla combustione venga compensata durante la produzione del carburante stesso.
Per semplificare il concetto, senza addentrarci in tecnicismi: il carburante deve essere composto, e quindi “catturare” in fase di produzione, tanta CO2 quanta la vettura ne emetterà all’utilizzo tramite combustione.
Il motore a combustione interna non è morto.
Questa direttiva FIA sembra sopire una paura innata agli appassionati: il motore termico in F1, per ora, non cesserà di esistere. Il carburante utilizzato nel Circus deve, per regolamento, essere “drop-in“, ossia impiegabile normalmente sulle auto stradali.
Il drop-in si trasforma in opportunità per le case automobilistiche impegnate o interessate al campionato F1. Pensiamo a Honda, con un invidiabile know-how sull’impiego stradale dell’idrogeno, o la Porsche che, pur non avendo ancora annunciato l’approdo alla massima serie, ha tutto l’interesse nel presentarsi come fornitore motori nel 2026.
Una ipotesi di approccio: carburante più pulito dalla produzione alla ruota
A questo punto non ci rimane che ipotizzare in quale modo saranno impegnate le risorse di costruttori e produttori di combustibile per mantenere in vita il motore termico.
Le case automobilistiche, in concerto con i produttori di carburanti, cercheranno di sviluppare combustibile sempre più pulito in relazione a tutta la filiera del prodotto, il cosiddetto “Well-to-Wheel carbon footprint”, ossia il computo totale di anidride carbonica emessa nell’atmosfera del ciclo vita del carburante, partendo dall’estrazione dell’energia necessaria alla produzione dello stesso (Well, pozzo), all’utilizzo finale (Wheel, ruota).
Se entro il 2030, anno d’ implementazione del progetto NET ZERO di FOM, fossero capaci di dimostrare che un carburante alternativo ha un migliore risultato Well-to-Wheel rispetto alla produzione di energia elettrica compresa quella proveniente da fonti rinnovabili, potranno portare la soluzione all’attenzione di mercati e governi in un attimo.
Lo scopo di NET ZERO
Proprio per quanto appena scritto, l’obiettivo FIA non è solo assecondare la FOM nell’ arrivare alla piena sostenibilità entro il 2030, come dichiarato dalla campagna NET ZERO di del proprietario del circus, bensì “mettere a terra” tutti i progetti di combustione interna che possano portare nuova linfa ai costruttori F1 nonché, per dirla tutta, evitare di diventare in futuro una brutta copia della Formula E.
Lo stesso progetto Net Zero cela malamente quale ruolo hanno le vetture da F1 nel rilascio di anidride carbonica nell’aria, esattamente lo 0,7% di tutta la CO2 prodotta dagli eventi.
Cifre del genere spiegano molto chiaramente che, di tutti gli eventi che compongono un campionato, le macchine non sono certo il fulcro del problema e non sarà necessario abituarci ad una F1 senza il rombo dei motori.