Qualche giorno fa abbiamo commentato, con un pizzico di stupore, il rinnovo per un altro anno di Yuki Tsunoda alla AlphaTauri F1 di Faenza. Stupore, scrivevamo, perché qualche anno fa una storia simile, dai dirigenti Red Bull, non sarebbe mai stata scritta. O almeno non in questi termini.

Tsunoda, lo scrivevamo nell’articolo in cui si commentava il rinnovo del giapponese, è reduce da una stagione disastrosa, una stagione in cui ci sono stati episodi di errori, incomprensioni (a volte anche di défaillance della sua monoposto) che l’hanno resa paragonabile a quella di un qualunque debuttante in F1 alle prime armi. In altri tempi Helmut Marko non avrebbe esitato, dopo ben pochi eventi iridati e con molti meno episodi negativi, a silurare il suo pilota e farne accasare un altro a lui gradito.
Perché non è accaduto tutto questo stavolta? Certo, è un pilota giapponese e il rapporto con Honda avrà fatto il suo. A dirla tutta, però, non è la prima volta che nella famiglia Red Bull ci si comporta cosi. Nel 2019 rientrò, nell’allora Toro Rosso F1, Daniil Kvyat dopo una stagione in cui era addirittura arrivato ad essere pilota Ferrari per gli sviluppi al simulatore. Sono lontani i tempi in cui sulle vetture di F1 della famiglia austriaca si alternavano giovani talenti scovati e allevati in casa.

E qui c’è la chiave di tutto. Il fallimento del Red Bull Junior Team (o F1 Red Bull Young Program, che dir si voglia). O forse sarebbe meglio parlare di esaurimento, in termini puramente numerici, di piloti che ne fanno parte. Fino ad una decade fa il programma era un vanto per Marko e i suoi. Riuscivano, a detta loro, ad essere i migliori nello scovare talenti, allevarli velocemente, buttarli nella mischia della F1 e provare a capire se riuscivano a reggere la pressione e tutto il resto che il grande circo della massima categoria comporta.
Onore ed oneri: se eri in grado, bene, altrimenti fuori per sempre. E’ stato cosi per diversi piloti, tra cui Scott Speed, Sebastian Buemi e Jaime Alguersuari, con qualcuno che avuto fortuna altrove e altri che hanno perso per sempre la strada del motorsport che conta. Ma anche piloti di Formula 3 e Formula 2 come Dan Ticktum e Jury Vips, oltre a tanti altri che non citiamo.
Proprio Jaime Algersuari, qualche giorno fa, è tornato a parlare della “sua” F1 dopo tanto tempo (il ragazzo si è reinventato, per un po’ è stato anche deejay in Spagna, non sappiamo ora) addirittura rivelando di essere stato dallo psicologo a causa di incubi notturni con protagonista Marko che lo rimproverava. Un peccato per dei talenti in erba che potevano crescere in maniera diversa, anche in F1 stessa. Ma questo rende l’idea non solo dell’ambiente dei giovani Red Bull qualche tempo fa ma anche di quanto questa “cantera” fosse piena ed alimentata.
Oggi è l’esatto opposto. Il programma giovani F1, scrivevamo, si può dire terminato (per non dire fallito) oppure temporaneamente sospeso. L’ultimo colpaccio di Red Bull è stato Max Verstappen. Dopo l’olandese, il nulla. Si provano a prendere talenti già più o meno affermati, si guarda verso altre squadra o verso altri campionati (vedasi l’interesse per Colton Herta della Indycar). In casa più nulla. Almeno per ora. E il rinnovo di Tsunoda è forse la controprova definitiva della dismissione di un modus operandi che ha caratterizzato, nel bene e nel male, una modalità di accesso particolare in F1 negli ultimi 15 anni.