L’arrivo degli sponsor in F1

In tempi moderni, veder gareggiare un’auto da corsa senza sponsor susciterebbe l’attenzione di tutti. Una volta, era il contrario: le colorazioni delle vetture erano monocromatiche e, almeno in Europa, nel secondo dopoguerra, le tinte dei bolidi da corsa rappresentavano la nazionalità della Casa costruttrice.

Con la nascita della F1, nel 1950, le auto a ruote scoperte poterono finalmente gareggiare in un campionato del mondo. Se nel campionato Indy statunitense, da sempre altra faccia della medaglia dell’automobilismo rispetto alle gare europee della F1 e formule minori, usava già tappezzare le carrozzerie delle monoposto con vari adesivi di imprese paganti e aziende, in Europa si dovette attendere fino al 1959.

La Yeoman Credit, finanziatrice di vendite di autoveicoli, si accordò con la squadra BRP per entrare in F2; ma già nel 1960, con una Cooper dell’anno prima, il team sbarcò in F1, ottenendo persino due podi. La pubblicità fu enorme perché si trattava effettivamente di una grande novità per l’automobilismo europeo. Tuttavia, in mezzo a tante vetture monocolore, la livrea Yeoman non fu vista di buon occhio dagli addetti ai lavori e lo sponsor, nonostante i buoni risultati, nel giro di qualche stagione si disimpegnò e sparì dal mondo della F1.

A quel punto, per diverse stagioni, si videro “timide” sponsorizzazioni sulle carrozzerie da parte di compagnie strettamente legate ai prodotti necessari per correre, come Firestone o Shell, che apparivano sia su Lotus sia su Ferrari, cosa oggi impensabile. Iniziarono a spuntare anche le prime toppe sulle tute; all’epoca non si badava alla concorrenza tra i marchi e poteva capitare di correre con gomme Firestone e avere sulla tuta una toppa della Dunlop.

Nel 1968, la Lotus si presentò al GP di Spagna con una colorazione che fece scalpore: la Gold Leaf (marchio di tabacco) si erse ufficialmente a erede della Yeoman, con una livrea bianca, rossa e oro che sostituiva totalmente il classico colore verde inglese.

GP di Monaco 1968. La Lotus di Graham Hill diventò un “sigaro”, come venne soprannominata.

La F1 entrò, quindi, nella sua era d’oro. Non era più solo sport ma anche tanta economia. Le auto iniziarono a essere ricoperte di adesivi in modo sempre più massivo e, ormai, la pubblicità faceva parte del Circus. Così sono nati alcuni simboli della F1, come la McLaren Marlboro, la Brabham Olivetti (sponsor italiano che imponeva alla Brabham un pilota italiano) o, ancora, la Brabham Parmalat, la Lotus JPS e la March Leyton House. Alcune aziende, come Benetton e Red Bull, hanno addirittura costruito telai e corso sotto il nome dell’impresa stessa.

Da sottolineare anche la Ferrari, che resta una delle poche scuderie a non aver mai permesso ad alcun ente di dettar legge sull’intera cromatica della vettura, tradizionalmente rossa.

Marco Sbrana