Il sacrificio di François Cevert a Watkins Glen dimostrò ancora che i piloti erano abbandonati a loro stessi, totalmente inascoltati dall’autorità sportiva sul fronte sicurezza.
I colori dell’autunno del circuito del Glen, negli Stati Uniti, salutano il circus della F1 durante il primo weekend di ottobre del 1973.
Col titolo già conquistato, Jackie Stewart ha confidato al proprio compagno di squadra che la stagione 1974 non lo avrebbe visto tra i partenti e che sarebbe stato lui, il pilota francese di maggior talento, a raccoglierne l’eredità.
Francois Cevert, bellissimo, con due occhi azzurri da farlo sembrare un attore della Nouvelle Vague, assapora l’opportunità. Sa che Watkins Glen è un circuito a lui congeniale e pensa di tornare dalla trasferta americana non solo con una vittoria ma anche con il ruolo di prima guida della Tyrrell e, chissà, forse il cuore di un attrice famosa.
L’inizio delle prove è travagliato. I piloti, con Stewart in testa, mal digeriscono che i guardrail a bordo pista non siano fissati al terreno e fanno presente agli organizzatore che la fessura in mezzo alle barriere potrebbe essere pericolosa in caso d’incidente.
Dopo aver cercato di sistemare al meglio le barriere, spinti da Bernie Ecclestone, i piloti danno l’ok per cominciare.
I primi giri delle qualifiche danno ragione a François Cevert. Il francese strappa il miglior tempo e tranquillo rientra al suo box.
La stagione 1973, oltre ad essere quella della definitiva consacrazione di Stewart, ha visto venire alla ribalta due giovani: Ronnie Peterson e lo stesso François Cevert che, forti delle loro monoposto, si sono dati battaglia senza esclusione di colpi.
Il francese, dei due, è quello che in prospettiva potrebbe dare i risultati migliori, essendo addirittura – in quell’anno – anche più veloce del suo compagno di squadra.
Stewart ritiene il francese ormai maturo ma non disdegna di insegnargli qualche massima. La più famosa fu: “La macchina da corsa può essere una tigre se non la si rispetta!”.
Poco prima della fine delle prove, comunque, la Lotus 72 di Peterson infrange il sogno della pole di Cevert, conquistando il miglior tempo. Il francese, immerso nel suo abitacolo, stringe i suoi occhi azzurri, famosi quanto la sua bravura, manda un bacio alla moglie di Stewart, cala la visiera e da il segnale d’avvio ai suoi meccanici.
La Tyrrel ruggisce… come una tigre.
I suoi meccanici si spostano per lasciare spazio al francese che esce dai box come una furia. Compie un giro lento poi, in prossimità del rettilineo si lancia velocissimo. Quando la curva 5 è ormai in vista e tutti si aspettano una frenata, il francese continua velocissimo, al culmine della salita imposta una traiettoria anomala. Le gomme non tengono, troppa è la velocità. La macchina s’invola e va a schiantarsi contro le barriere.
La testa del pilota rimane incastrata nella fessura dei guardrail ferendosi mortalmente. Un silenzio nero cala su tutto il circuito.
I piloti non si danno pace. Stewart e Fittipaldi avevano fatto presente il rischio che i driver stavano correndo. La federazione, sgomenta, vuole imporre un minuto di raccoglimento. Proposta rifiutata dai piloti ma contrastata con la volontà di imporre all’autorità sportiva di cambiare la disposizione delle barriere lungo i circuiti.
Cinque anni dopo Jim Clark, perito in Germania a bordo di una F2 a causa delle barriere assenti, c’avrebbe lasciato. Questa volta perché in nome dello spettacolo non si è volle dare retta – ancora una volta – ai piloti, imponendo quella tipologia di barriere totalmente inadatte.