Eccogi a maggio, e come tutti gli anni dal 1982, caro Gilles Villeneuve, ti pensiamo e ti ricordiamo.
| di Federico Sandoli
Devo essere sincero. Da laudiano convinto, sono stato tra quelli storsero il naso all’annuncio che un pilota di motoslitte sarebbe stato il nuovo alfiere della Ferrari.
Sognavo Andretti, speravo Fittipaldi, e invece ecco quest’uomo dalla faccia da bambino che, col suo francese simpatico, ai media chiedeva un po’ di tempo.
L’Italia era un paese sotto shock. La crisi economica e il terrorismo, pian piano, spensero il sorriso della gente, che per avere un po’ di emozioni e accendere un sorriso, si scoprirono tutti tifosi di questo ragazzino che col suo modo di essere stava sovvertendo una F1 che prendeva pian piano la fisionomia teutonica di Lauda, il primo pilota moderno della categoria.
Eppure, mentre pian piano si stava rimpiangendo la F1 di altri tempi, la tua Ferrari nr.12 entrava dritta nel nostro cuore per impossessarsi per sempre dei nostri sogni.
Da quel momento tutti hanno cominciato a tifare Villeneuve. Poi la Ferrari. O talvolta, forse, viceversa.
Tuttavia anche chi di motori non capiva niente riusciva a vedere in te, in quel canadesino spericolato, la rappresentazione della loro voglia di non arrendersi mai.
La tua rossa illuminava la fantasia di tutti, anche quando i tuoi eccessi ti portavano spesso fuori pista o ti facevano fermare a bordo pista, vinto da qualche defaillance tecnica.
Eri la bandiera della Ferrari che vinceva anche quando perdeva, ma che quando cominciasti a intravedere la strada del successo ti girò le spalle.
Offeso, avevi deciso di scendere la cavallino, e il destino te lo fece fare con un volo lasciando interrotti i nostri sogni e consegnandoti al mito di questo sport. Inutile dirlo, ma non sarai mai dimenticato.