Anni di Formula 1 hanno spinto sempre più in alto le prestazioni delle auto da corsa, facendo crescere cavalli e velocità in maniera esponenziale e abituandoci a veder scendere in pista mezzi sempre più simili agli aerei che a delle vere automobili.
Fortunatamente anche la sicurezza di chi guida, dopo aver attraversato i tempi bui degli anni ’50 e ’60 ha viaggiato, dalla metà degli anni ’70 in avanti, verso una decisa evoluzione delle caratteristiche legate all’incolumità dei piloti in caso d’incidente.
Uno dei punti di forza in quest’ambito nel caso dei dispositivi di protezione individuale, è l’uso di caschi ad altissima tecnologia che, oggi, assicurano ai piloti oltre che una eccellente protezione anche un’ immagine che li rende particolarmente riconoscibili ed un comfort elevato: ma non è stato sempre così.
Gli anni delle “cuffie” – Gli anni ’30 e ’40
La derivazione aeronautica delle automobili degli anni in cui l’automobilismo sportivo vedeva la luce, portava con se anche l’abbigliamento tipico dei temerari cavalieri del rischio che affollavano i cieli dell’epoca.
Molti piloti, infatti, utilizzavano (unicamente per proteggersi da pioggia e vento) quelle stesse cuffie di tela pesante che i piloti dei biplani indossavano durante le trasvolate in giro per il mondo, cucite in maniera tale che il sottogola potesse impedire, ai lacci che le assicuravano alla testa, di slacciarsi.
Fu Tazio Nuvolari uno dei primi piloti automobilistici ad un utilizzare un vero e proprio casco: era in cuoio rinforzato con una sorta di imbottitura in feltro al suo interno che permetteva di sopportare meglio il freddo e la pioggia delle corse sugli sterrati.
Questo tipo di copricapo era accompagnato generalmente da un paio di occhiali, anch’essi di derivazione aeronautica, che assicuravano al pilota la protezione degli occhi dai detriti sollevati dalle ruote degli avversari.
Il dopoguerra, la nascita della Formula 1 e i caschi a “scodella”- Gli anni ’50
Alla ripresa delle corse, dopo il periodo bellico, l’abbigliamento dei piloti non registra grandi cambiamenti rispetto a quello indossato negli anni ’30 e 40′, neanche quando la neonata Federazione Internazionale dell’Automobile, darà il via a quello che sarà il primo Campionato del Mondo di Formula 1 del 1950.
Ma le prestazioni in aumento delle auto e le condizioni non certo sicure di quelle piste ricavate da vecchi aeroporti, piene di detriti e polvere, richiedono maggiore sicurezza per chi guida.
Ed è per questo che cominciano a comparire i primi caschi a “scodella” realizzati in metallo verniciato ed in alcuni casi rivestiti in pelle. Anche questi copricapi sono derivati dall’ utilizzo che ne fanno i piloti da caccia e come quelli, sono assicurati alla testa del pilota con cinghie di cuoio laterali e fibbie metalliche da allacciare sotto al mento, sicuramente non il massimo in termini di comodità e sicurezza.
Tutti gli assi dell’ epoca da Manuel Fangio a Stirling Moss, da Peter Collins ad Alberto Ascari ne fanno uso ed alcuni di loro iniziano a personalizzarli con i loro nomi o con colori particolari. Ne è un esempio Alberto Ascari che ama correre con un casco di colore azzurro.
Ma l’evoluzione del casco continua e verso la fine degli anni ’50 i caschi ricoperti in pelle lasciano definitivamente il passo a quelli verniciati (forse proprio per permetterne una maggiore personalizzazione da parte dei “drivers”).
I fianchi scendono a coprire meglio i lati della testa e a protezione degli occhi dalla polvere e dai piccoli detriti compaiono le prime visiere curve in plastica trasparente applicate a pressione, un sistema questo che progressivamente diventerà parte integrante del casco.
Gli anni del Boom e i caschi “Jet” – Gli anni’60
La prima vera rivoluzione nel campo dei caschi avviene negli anni ’60 con l’avvento dei caschi “Jet”, sempre di derivazione aeronautica, in dotazione ai piloti dei caccia supersonici.
Sono realizzati con i materiali “d’avanguardia” di quell’ epoca (plastica e fibra di vetro combinate in strati) ed assumono una forma allungata che copre ancora meglio i lati della testa e la nuca, proteggendo il pilota dagli urti con imbottiture interne in gommapiuma.
Spesso il casco è corredato da un visierino applicato anteriormente con bottoni automatici metallici sulla parte superiore dell’ apertura per il viso, che in alcuni casi può fungere da supporto per la visiera trasparente anti pioggia (o fumè con funzione anti sole) che i piloti applicano su di esso, nonostante il mezzo principale di protezione degli occhi rimangano gli occhiali simili a quelli utilizzati dagli sciatori con lenti trasparenti o affumicate a seconda delle esigenze
L’americana Bell è la produttrice che rappresenta maggiormente questo tipo di caschi, con l’esposizione del proprio marchio in bella vista sul retro del copricapo, dando inizio a quello che sarà il veicolo principale per il sostentamento economico degli sport motoristici: la sponsorizzazione.
I piloti, a loro volta, spesso verniciano le calotte o le personalizzano con nomi e simboli facendone un segno distintivo del proprio stile e della propria immagine.
La Formula 1 moderna e i caschi “integrali” – Dagli anni ’70 ai nostri giorni
I giovani piloti degli anni’70 tengono sempre di più in considerazione il tema della sicurezza, con l’aumento delle prestazioni e delle velocità in pista .
Al pari delle prestazioni, anche gli pneumatici delle monoposto aumentano di dimensioni e di conseguenza aumenta la quantità di detriti sparati contro i piloti da chi li precede durante le gare.
E’ per questo che durante il Gran Premio d’Italia del 1968, Dan Gurney prova in pista il primo prototipo di casco integrale (ancora a visiera fissa), sempre elaborato dall’americana Bell, che inizierà così la rivoluzione nel mondo delle protezioni per la sicurezza nelle gare motoristiche.
La stessa Bell affinerà in seguito il suo prototipo, con la realizzazione della visiera mobile sul modello Star Helmet, casco che diventerà il simbolo dei nuovi cavalieri del rischio della F1 moderna, nei colori e nelle forme con i quali tutti oggi abbiamo imparato a riconoscerli.
Nei successivi anni le forme del casco moderno si stabilizzano, migliorando quelle che sono le tecniche costruttive ed i materiali utilizzati nella costruzione.
Si avvicendano nella costruzione dei caschi la plastica, la fibra di vetro, il kevlar sino ad arrivare all’odierna fibra di carbonio che conferisce al copricapo caratteristiche di resistenza e leggerezza incredibili.
Gli attuali caschi ( chiamati FIA 8860-2018) che proteggono i campioni della pista, sono infatti omologati secondo criteri che li rendono praticamente quasi indistruttibili conferendo loro caratteristiche di resistenza al fuoco fino a 790°C, protezione balistica a proiettili di 225 grammi sparati a 250 kmh o resistenza alla penetrazione dello scudo provata con oggetti da 4 kg in caduta libera a 7,7 m/s.
Per ottenere questo tipo di resistenze, durante la produzione di un casco, 120 “pezze” in fibra di carbonio vengono incollate insieme e successivamente il casco viene “cotto” in un autoclave, dove i singoli strati sono uniti l’uno all’altro e induriti ad alta pressione e ad una temperatura costante di 132°C.
Le parti soggette a carichi eccezionali, come la parte inferiore e l’apertura della visiera, sono ulteriormente rinforzate con alluminio e titanio. L’imbottitura interna è composta da due strati di Nomex ignifugo, che assicurano al pilota l’incolumità in caso di incendio.
Il sistema di ventilazione è progettato per consentire un flusso massimo di circa cinque litri di aria fresca all’interno del casco attraverso un filtro che pulisce l’aria dalle particelle più fini di olio motore, carbone e polvere dei freni. Una radio nella zona del mento fornisce i mezzi per comunicare con i box.
Grazie a questo enorme sforzo di ricerca e sviluppo quindi, le cuffie di tela degli automobilisti “aviatori” degli anni ’30, hanno lasciato progressivamente il posto a dei veri e propri elmi corazzati che permettono ai campioni che amiamo di continuare a darci emozioni e divertimento, senza che questo metta a repentaglio la loro vita
Tutto questo ha contribuito, e tuttora contribuisce, fortemente all’evoluzione della sicurezza che permette anche agli utenti normali (in particolare ai motociclisti) di mettersi al sicuro da quelli che sono i rischi della viabilità.
Non dobbiamo dimenticarlo: la F1 oltre a divertirci continua ad essere un vero laboratorio, che migliora sempre di più la vita sulla strada di tutti i giorni per ognuno di noi.