F1 | Brabham: il sogno e l’incubo

Quinto appuntamento della nostra collana dedicata ai team inglesi che hanno fatto la storia della F1. Oggi è il turno della leggendaria Brabham. 

| di Federico Sandoli 

Jack Brabham, dopo aver conquistato due allori mondiali, aveva nel suo intimo di voler fondare una scuderia col suo nome e che durasse nel tempo. Per fare il salto e diventare costruttore, entrò in società con Ron Tauranac, dalle loro iniziali BT tutte le sigle delle loro vetture, e creò una vettura convenzionale con la quale debuttò in Germania nel 1962.

Tauranac, tecnico appassionato, convinse Brabham di affinare la macchina e sfruttando le capacità e le sensibilità di guida dell ex campione del mondo. Questo portò la macchina a conquistare le prime vittorie con Dan Gurney durante il campionato 1964 e le vittorie continuarono anche nel 1965. Alla fine di quella stagione, Dan Gurney decise di lasciare la scuderia “obbligando” Brabham a scendere nell’abitacolo della propria vettura e scegliendo come secondo pilota il neozelandese Denny Hulme.

Hulme era un grandissimo pilota a ruote coperte. In quell’anno contribuì non poco alla grande prestazione della Ford a Le Mans ma sulle F1 faticava un po’. La sua innata capacità a sapersi adattare al mezzo, però, lo portava a ottenere sempre importanti risultati.


Proprio nel 1966, grazie alla motorizzazione Repco e alla propensione a litigare della Ferrari, Brabham riuscì a conquistare il titolo. Fu il primo pilota-costruttore a riuscirci.


Per la stagione 1967 l’australiano era uno dei favoriti alla vittoria finale ma una serie di incomprensioni col compagno Hulme portò quest’ultimo a conquistare il titolo mondiale. Irritato dal risultato finale Black Jack non ci pensò due volte e mise alla porta Hulme ma forse l’irritazione – o un certo appagamento – portò la Brabham a non ottenere risultati di rilievo per la stagione 1968.


Tutt’altra storia fu il campionato 1969. Arruolato Jacky Ickx, in fuga da una Ferrari in affanno, col pilota belga i risultati non tardarono ad arrivare e il nuovo duo si candidò a vincere il titolo nuovamente nel 1970. Le premesse dell’anno prima, però, non si concretizzarono. Ickx, nel frattempo, tornò sui suoi passi e fece capolino di nuovo a Maranello. Ma fu soprattutto la nuova Lotus 72 a surclassare la Brabham, protagonista solo a inizio stagione.


La sconfitta del 1970 lasciò l’amaro in bocca all’australiano che, deluso e forse demotivato, decise di appendere il casco al chiodo. Senza il suo fondatore, la scuderia perdeva un punto di riferimento che con la sua classe la trascinò spesso nelle posizioni di testa. Ma anche a causa del suo carattere autoritario ed egocentrico Brabham non volle investire su una seconda guida di valore lasciando così la scuderia senza nessun punto di riferimento.

 

Il tutto portò a una cronica mancanza di risultati che sfociarono, nel 1972, nella vendita della scuderia all’ex manager di Jochen Rindt, ossia Bernie Ecclestone.


Bernie Ecclestone, nell’ambiente riconosciuto come un abile e spregiudicato uomo d’affari, – ci fu chi lo definiva “Il Briatore degli anni 70” – impose una rivoluzione portando il giovane sudafricano Gordon Murray alla direzione tecnica che creò il modello BT44, col quale la Brabham tornò a riassaporare il successo.

 

Brabham BT45B, cuore italiano - Amarsport - Icon WheelsLe vittorie della Ferrari a 12 cilindri convinsero Ecclestore a contattare l’Alfa Romeo, regina delle gare di durata con le proprie macchine a 12 cilindri, per ottenere il loro motore plurifrazionato per la stagione 1975.

Con l’accordo in essere con Alfa, Ecclestone vedeva la Brabham come l’unico contendente della Ferrari per la vittoria finale. Ben presto però i sogni di gloria cominciarono a trasformarsi in incubi. Murray infatti scoprì che i motori Alfa avevano tutti misure diverse, motivo per cui la macchina doveva essere modificata ogni volta che il motore venisse ospitato in vettura.


Stufo di vincere ma non di convincere, Ecclestone si rese conto che la sua scuderia dovesse fare un salto di qualità importante.


Per vincere attuò una rivoluzione impensabile. Riuscì a strappare Lauda alla Ferrari, siglò un contratto miliardario con la Parmalat e… stimolò Murray a trovare una grande idea.


Il sudafricano, sfruttando un idea della Chaparral per inventare un ventilatore posteriore che, estraendo l’aria dal fondo vettura, sigillava la vettura a terra diventando un arma pressoché imbattibile. Ancora di più delle Lotus 79. La FISA si rese conto che questo sistema non era illegale come dichiarava Chapman ma poteva diventare pericoloso in quanto l’aria estratta dal ventilatore poteva contenere sassi e detriti che, come proiettili, avrebbero potuto danneggiare gli avversari.


L’esigenza di avere una macchina ad effetto suolo portò Murray a chiedere ad Alfa Romeo una vettura a 12 cilindri a V. Ma la mancanza di risultati fu tale che portò Lauda a ritirarsi ed Ecclestone a rompere la partnership col motorista italiano. La nuova motorizzazione sarebbe stata Cosworth, sicuramente meno affascinante della precedente ma decisamente più valida.


Grazie alle scelte dell’anno prima e all’esplosione del talento del compagno di squadra di Lauda, Nelson Piquet, la Brabham tornò a giocarsi il titolo. Fu battuta solo sul finire di campionato da Alan Jones e la sua Williams FW07.


Titolo che non scappò nel 1981, forse grazie alle lotte interne tra i piloti Williams. Piquet infatti si fece trovare sempre pronto ad approfittare delle loro diatribe interne e coglie importanti successi che sfociarono nel titolo a fine campionato.


Ecclestone, patron illuminato, si rese conto che il futuro era nei motori turbo e, dopo aver scandagliato diversi fornitori, riesce a convincere BMW a creare un motore a 4 cilindri potentissimo. Installato in vettura, i primi vagiti furono deludenti. L’affidabilità era il tallone d’Achille di questo innovativo motore, tanto che per le prime gare il patron Brabham fece correre le sue vetture con il più affidabile motore Cosworth. Con questo modello Patrese vinse a Montecarlo e Piquet, con una rediviva Brabham turbo, vinse il tragico GP di Canada, fatale a Paletti.


Il diabolico Ecclestore, s’inventò una strategia che prevedeva di far partire le sue macchine con mezzo serbatoio per poi fermarsi a metà gara a rifornire e ,potendo contare sul tesoretto di secondi accumulati, ripartire in testa. Purtroppo la fragilità del motore rese l’operazione pressoché impossibile ma ispirò le squadre ad attuare quella strategia nella stagione successiva.


Per la stagione 1983 la scuderia inglese, presentò una monoposto a freccia, quasi un emulo della famosa Lotus 72. Con questa vettura – e con una benzina irregolare – Piquet e la Brabham beffarono Ferrari e Renault riuscendo ad aggiudicarsi il titolo proprio sul finire di stagione.


Ecclestone pareva scorgere dell’appagamento in Piquet, e non esitò a organizzare un test col pilota più talentuoso delle formule minori: Ayrton Senna.

Senna riuscì a strabiliare tutti. Con la macchina campione del mondo dimostrò una padronanza che lo portò a girare sui tempi di Nelson Piquet. Bernie era combattuto e mentre stava decidendo il da farsi, Piquet fece intervenire la Parmalat che ritenne Senna non gradito ed un pilota addirittura dall’avvenire insicuro.


Forse però Ecclestone aveva visto giusto. Le stagioni 84 e 85 non videro brillare ne la Brabham ne il suo pilota di punta. Della stagione 85 si ricorda la vittoria a Le Castellet più perché celebra il ritorno alla vittoria delle Pirelli dopo 30 anni che per la pura prestazione del pilota.


A fine annata 1985 Piquet e la Brabham si dicono addio. Murray provò a tornare nell’empireo dei GP col modello BT55, detto “sogliola” ma inutilmente.

Il modello fu totalmente inadeguato e talmente fragile che durante dei test privati in Francia costo’ la vita a DeAngelis, italiano in fuga dalla Lotus e in cerca di gloria di cui proprio oggi ricorre i 34ennale della comparsa (abbiamo dedicato un editoriale: F1 | Gentleman driver: in ricordo di Elio De Angelis).


Anche Ecclestore, appagato dai risultati sportivi e interessato più a promuovere il circus della F1, cedette il team al finanziere svizzero Luthi alla fine del 1987. Lo svizzero per la stagione successiva voleva ottenere dei risultati immediati e impose un progetto molto convenzionale. A Monaco la sua politica paré dargli ragione con il raggiungimento do un podio ma l’arresto del finanziere per frode fiscali gettò la squadra nel baratro definitivo. Gli anni a seguire furono un mesto de profundis tecnico e finanziario che culminò nella scomparsa definitiva del team qualche anno dopo.


Dell’ex scuderia, sogno di un pilota australiano, si parla più per aver messo al volante Giovanna Amati che per i risultati. Il 1992 fu l’ultimo anno di presenza con risultati non all’altezza del nome del team. Dopo il GP d’Ungheria di quell’anno la scuderia alzò bandiera bianca e uscì mestamente dal mondo della F1.