F1 | BRM: il primo vero costruttore inglese

Beltoise, BRM

Secondo appuntamento della collana dedicata ai team inglesi. L’editoriale di oggi è dedicato alla BRM, il primo vero costruttore a solcare l’asfalto in un mondiale di F1.  

| di Federico Sandoli

Tra le scuderia inglesi, definite non senza una punta di arroganza e disprezzo da Ferrari come “garagisti”, la British Racing Motors, al secolo BRM, si è distinta in quanto fu la prima a creare una macchina completa in tutte le sue parti.


Nel corso della sua attività la BRM conquistò 17 corse e un campionato del mondo piloti nel 1962.


Il team debuttò nel 1951 con un avveniristico 16 cilindri sovralimentato con sistema studiato dalla Rolls Royce, che permetteva alle vetture di raggiungere potenze impensabili per quei tempi a discapito, però, dell’affidabilità.


Sconcertata dalla mancanza di affidabilità del motore plurifrazionato, la BRM non si fece certo prendere dalla disperazione e puntò a un quattro cilindri che, grazie all’affidabilità e a qualche ritiro eccellente, riuscì a farla imporre nel gran premio di Olanda nel 1959.


Entrata ormai nel novero delle scuderie di testa la BRM diventò attrattiva anche per i grandi piloti come Graham Hill, pilota dal temperamento british e lo stile da gentleman che, dopo un appassionante duello con Jim Clark, riuscì a conquistare nel 1962 l’unico titolo iridato della scuderia inglese.


Quell’anno esaltò particolarmente i fan inglesi in quanto era da tempo che sognavano una stagione dove due scuderie di F1 inglesi di primo livello si potessero giocare il titolo umiliando l’italiana e tanto odiata Ferrari.


Due anni dopo, un “fortuito” incidente fra Graham Hill e Lorenzo Bandini impedì all’inglese di conquistare il secondo titolo per la BRM. Grazie a questo incidente il titolo andò alla Ferrari di John Surtess. Indispettito non poco dal “fortuito incidente”, Hill si rese protagonista di un gesto eclatante regalando, a Natale, un manuale di guida a Bandini.


Nel 1965 fece il suo ingresso nel team un giovane scozzese promettente, Jacky Stewart che – altro smacco notevole per la Ferrari – non faticò a portare al successo la scuderia inglese addirittura all’autodromo di Monza. Nel 1966 la BRM portò in pista un nuovo progetto di motore a 16 cilindri ma con scarsi risultati.


I giorni di gloria cominciarono però a diventare sempre meno. Il fallimento del progetto 16 cilindri obbligò la BRM ad adottare il V12 di derivazione Can-Am col quale riuscì a conquistare, con Beltoise, il GP di Monaco a Montecarlo.


In cerca di sponsor e di piloti di talento, soprattutto paganti, la BRM per il 1973 decise di assumere tra le sue fila Regazzoni e un giovane austriaco di talento che rispondeva al nome di Niki Lauda.


La macchina per il 1973 non era niente di speciale ma quando riuscì a portarsi nelle zone alte della classifica fu grazie alle capacità dei due piloti che con le loro prestazioni riuscirono a conquistare il sedile della Ferrari per il 1974.


Un progressivo calo delle prestazioni portò la BRM a ritirarsi alla fine del 1974 cedendo le attività a Louis Stanley che gareggiò ancora per due anni col nome Stanley-BRM.


La mancanza d risultati e di fondi relegarono l’ormai ex grande scuderia a comparsa del motorismo arrivando a disputare delle gare in salita con le stesse monoposto modificate.


Nel 2008 il marchio fu riesumato per reclamizzare delle auto elettriche ma inutilmente in quanto il progetto è rimasto prigioniero di un illusione e non riuscì mai a vedere la luce.