F1 | Poteva essere un re…

Excursus su Juan Pablo Montoya, vero talento del motorsport della nostra epoca, e della sua esperienza in F1 con Williams e McLaren. 

| di Federico Sandoli

Per la stagione 2001 la Williams decise di presentare una coppia molto curiosa: il fratello di Michael Schumacher e in vincitore dell edizione del 2000 della 500 miglia di Indianapolis Montoya.

Già dai primi test, Montoya dimostra una grinta e una determinazione tale da far impallidire il suo team-mate e da far nascere, in seno al team, la speranza di aver trovato la vera alternativa al dominatore Michael Schumacher.

La speranza diventa certezza quando alla ripartenza dietro la safety-car in Brasile, il colombiano è protagonista di un sorpasso condito da una certa spavalderia ai danni del fuoriclasse della Ferrari.

Una volta in testa il colombiano non fatica a restarci. Giro dopo giro distacca il ferrarista e si candida al successo finale. Nel mentre fosse al comando con una certa autorevolezza, però, finisce per incappare in Verstappen (padre) che, nonostante sia doppiato, lo mette fuori gioco urtandolo.

E’ un episodio negativo ma la Williams comincia a sognare grazie al suo campione dotato di un carattere particolarmente assertivo, tutto particolare. Non era raro, infatti, vederlo spingere nella corsia dei box la sedia a rotelle di patron Frank o scambiare quattro chiacchiere con le nuove leve.

Tuttavia il team non può non notare che il colombiano sia una spina nel fianco della Ferrari. I duelli con Schumacher diventano spesso dei confronti maschi, Ma a battere Montoya non è tanto il binomio rosso quanto l’inaffidabilità della sua stessa monoposto.

A Monza, in un atmosfera cupa dovuta ai fatti dell’ 11-settembre 2001, Montoya con una gara tutta grinta annichilisce la Ferrari e Barrichello (Schumacher quel giorno fece solo atto di presenza) e va a cogliere un successo storico che fa felice anche i ferraristi che sognano di averlo in rosso per rinverdire gli anni di Regazzoni e, perché no, anche di Gilles.

La stagione successiva è una dittatura rossa. La F2002 è un capolavoro di tecnica ma Montoya, mai domo, nonostante non riesca a conquistare nessuna vittoria, riesce comunque a portare a casa diversi piazzamenti a podio ma, soprattutto, ben sette pole position dimostrando, almeno in qualifica, di essere all’altezza se non superiore al suo acerrimo avversario ferrarista.

La scuderia inglese gongola. Il guascone sudamericano non vince spesso ma convince sempre. Per la stagione 2003 l’obiettivo non dichiarato è la conquista del titolo. Il colombiano riesce ad imporsi in Germania e a Monaco, pista da sempre ostica per la Williams, ed è in lizza per il titolo fino a due gare dalla fine quando un incidente con Barrichello e una rottura meccanica a Suzuka, di fatto, lo mettono fuori gioco per la conquista dell’alloro.

Il 2004, purtroppo, non è decisamente il suo anno. La Ferrari presenta la F2004, una monoposto talmente perfetta da stupire la stessa scuderia italiana. La sua Williams “smilodonte” per i supporti molto evidenti ai lati dell alettone anteriore, non è proprio nata bene. Nonostante la pochezza della macchina riesce a strappare il giro più veloce della storia a Silverstone (battuto da Raikkonen soltanto nel 2018) e una vittoria in Brasile.

Ma più che per le prestazione fa discutere l’urto con Schumacher, sempre lui, a Monaco durante l’ennesima processione dietro la safety-car. Si parlerà per giorni se il colombiano, stufo della strategia del tedesco che accelerava e rallentava, non abbia deciso scientemente di urtare il tedesco e mandarlo contro il rail. Questo fatto contribuì a inasprire il rapporto tra i due creando un dualismo che riempì spesso le pagine delle riviste specializzate.

Ma i tempi della Williams ormai sono finiti. La voglia di vincere lo fa approdare, per la stagione 2005, in McLaren. Nella scuderia inglese incontra un Raikkonen particolarmente motivato ma anche delle difficoltà di adattamento alla macchina e all’ambiente che sicuramente lo sminuiscono nei confronti del compagno.

La prima parte della stagione è caratterizzata da diversi ritiri, il team McLaren mastica amaro. Nonostante una certa competitività vista a Monza e in Inghilterra, il rapporto col team comincia a scricchiolare ed e già evidente che la stagione 2006 possa essere da “dentro o fuori”.

Purtroppo la pochezza della McLaren e, probabilmente, il deciso calo delle motivazioni, fecero si che Montoya cominciasse a guardarsi in giro. Il casus-belli ad Indianapolis quando le due McLaren arrivano a toccarsi in partenza distruggendo la corsa di entrambe. McLaren e Montoya non si amano più.

Il colombiano, come da suo carattere, scinde il contratto, si accorda con Chip Ganassi e da metà stagione torna a correre negli USA, dove lo considerano un autentico divo del volante (vincerà poi la 500 miglia di Indianapolis – per la terza volta – nel 2015 con Penske).

Con la sua uscita dal circus, il mondo della F1 perde un pilota di sicuro talento, l’unico capace di duellare ad armi pari con la Ferrari nonostante un mezzo non all’altezza. Ma la F1 perde anche una persona che mai è stato disposto a scendere a compromessi pur di restare in quella gabbia dorata che è il circus.

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