Canada: Vettel non vince ma la vera sconfitta è la F1

Vettel irascibile irrispettoso, irriverente. Vettel contro corrente e contro tutti per vendicare una vittoria violata, in nome di una penalità astrusa e ottusa. Vettel contro le regole che mette in regola a modo suo l’ordine d’arrivo creando disordine e scompiglio. Vettel che smaltisce la rabbia a suon di colpi di scena, rubando la scena al legittimato trionfatore che oggi vince un’altra coppa, ma perde l’onore.

Vettel e il suo dito alzato nuovamente verso il cielo, a ricordare che può ancora essere un numero uno e portare la Ferrari sul gradino più alto del podio. Questa l’istantanea di un sabato da ricordare, con una pole immensa che lasciava pregustare una grande battaglia. Vettel contro il quale si punta il dito, fino a colpirlo con l’infamia di una penalità profondamente ingiusta. Questa l’immagine indelebile di una domenica da dimenticare, con una vittoria rubata che si stempera nell’amaro di un’ennesima sconfitta.

Un errore certo, d’accordo. Una minima sbavatura dentro al quadro di un weekend perfetto, in realtà. Perché se non esistono gladiatori, perlomeno esistono uomini che lottano e che, nel farlo, ci trasmettono emozioni dalle tinte forti, che mai e poi mai vorremo vedere sbiadite, stemperate nelle decisioni asettiche di una commissione, cancellate da penalità ingiuste che riescono a defraudare quel che resta dello spirito di questo sport.

“Salut Gilles” è il caso di dire, o meglio “Adieu”. Perché il suo sacro fuoco oggi non potrebbe esistere, verrebbe spento sul nascere da regole insensate, che privano della lotta e che possono venire invocate senza nessun rispetto, comminate impedendo un meraviglioso riscatto. A Montreal ieri i sogni della Ferrari si sono infranti contro un muro ben più insidioso di quello dei Campioni. Un muro ostile e vile che è impossibile da far crollare.

Sebastian cede, per un attimo soltanto, alle lusinghe dell’erba. Che gli sporca le gomme e ogni possibile traiettoria. Però riesce a tenere la sua Ferrari in pista, evitando ogni collisione. Il rientro è scomposto e brutale, ma lui non si arrende. Hamilton non lo sorprende, si limita ad infilarglisi accanto.

Poteva essere una guerra vera, all’arma bianca, una guerra di uomini. La stessa che Lewis invoca spesso nei suoi proclami. Invece l’inglese sceglie la via più semplice, la meno rischiosa. Si gioca la carta del lamento, e, come uno scolaretto azzimato, si rifugia tra le braccia protettive della maestra, che naturalmente sceglie di bacchettare Seb, costringendolo dietro alla lavagna. Ma il tedesco non è certo un alunno modello e non ci sta.

Taglia il traguardo per primo, ma non porta la sua Ferrari sotto al podio. La piazzola con il numero 2 resta desolatamente vuota, specchio del silenzio surreale interrotto dai fischi, vera immagine del vuoto di una Formula 1 che sta toccando il fondo. Ma a Vettel questo non basta e si concede un altro affronto.

Imbraccia il cartello del vincitore, abbraccia quell’1 che gli spetta di diritto, e lo porta in prossimità della monoposto fantasma, affibbiando la piazza d’onore virtuale accanto al muso argenteo della Mercedes di Hamilton. Lo stesso Hamilton che dichiarava di non voler esultare, in caso di vittoria “regalata”, e che invece si è speso in una manifestazione di euforia, tra salti e sorrisi, non risparmiando pose fatte ad arte ad uso e consumo dei suoi profili social. Lo stesso Hamilton che mette in scena un siparietto pietoso, invitando Sebastian sul primo gradino del podio, come già fece con Bottas dopo avergli tolto il trionfo di Sochi. Un pericoloso precedente, queste lacrime da coccodrillo, che mal si addicono a un cannibale. Che mal rappresentano un indiscutibile fuoriclasse come l’inglese.

Dunque Vettel ha sbagliato, a quanto pare. Infatti per lui, oltre alla penalità per la manovra incriminata di curva tre, arriva anche la decurtazione di due punti sulla patente. Il manipolo sempre folto dei detrattori cerca argomenti tangibili. Li ravvisa nei suoi gesti di stizza, giudicati inopportuni e infantili. Li ravvisa in quell’unico neo all’interno di una perfezione cristallina, che lo ha animato nel corso dell’intero weekend.

Beh, a parer mio invece oggi Sebastian è stato perfetto. Perfetto per come ha difeso la sua posizione, perfetto per quella che è stata la sua reazione. Una reazione vera e sincera. Gesti da uomo, non meditati, non soppesati, non calcolati.

Una piccola rivoluzione in fondo. Un dissenso per esprimere il suo mancato consenso, per far sentire la sua voce fuori dal coro, lontana dall’ipocrisia di certi gesti affettati che dominano il circus attuale. Perché quando invochiamo una Formula 1 più vera, non dobbiamo solo pensare alle monoposto di una volta, alla potenza dei loro motori e alla mancanza dell’elettronica.

Occorre ricordare che sono gli uomini ad aver creato la leggenda di questo sport. Piloti che hanno sbagliato, infranto le regole, pagato a volte con la squalifica, altre volte con la vita. Piloti che hanno sempre lottato in pista, sfidando ogni limite, meccanico o di buon senso, ma scrivendo la loro storia su un nastro d’asfalto, autografandola con la magia delle loro gesta, non di certo su fogli infarciti di commi e siglati dalla Fia.

Perché indipendentemente da ogni eventuale ricorso il gran premio del Canada edizione 2019 non avrà mai un vincitore. Ha perso Vettel, la sua posizione. Ha perso la Ferrari, la sua grande occasione. Ha perso Hamilton, la faccia e l’onore. Ma soprattutto ha perso lo sport, credibilità e passione.