F1 | La psicologia del pilota

Non sono uno psichiatra e nemmeno uno psicologo. Sono soltanto un giornalista, ma con tanta esperienza nel mondo dei motori e delle corse in particolare. Con un’età piuttosto avanzata e 55 anni di carriera a contatto con motori e, soprattutto, uomini: manager, meccanici, progettisti e piloti. 

Si piloti. Ne ho conosciuto tanti, sono stato con loro, vicino a loro… e spesso li ho persi, portati via da un crudele destino che ha frantumato la loro passione.

E quindi penso di potermi esprimere sulla personalità di alcuni di loro, forse i più grandi della storia.

In particolare sul loro bisogno di avere un confidente, un amico, un fedele testimone delle loro ansie, delle loro soddisfazioni, delle loro difficoltà, delle loro reazioni.

Quasi tutti infatti hanno accanto una persona che li conosce in profondità, li accetta, anche nei loro momenti più difficili, quando devono fare una scelta o hanno bisogno di sfogarsi.

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E’ un elemento che contribuisce alla loro maturazione, ad una crescita morale, e permette loro di metabolizzare il concetto del rischio.

Ricordo che Elio De Angelis aveva trovato nel suo caro amico argentino Louis quella figura. O Ayrton Senna nel suo massaggiatore, che poi malignamente Nelson Piquet ( spietato pur di sminuire l’avversario, lo aveva già fatto con Mansell in altra maniera ) aveva indicato come un possibile segno di assurda omosessualità.  A volte il confidente era un giornalista o una diligente assistente: Sabine Kehm per Michael Schumacher. O, nel motociclismo, il fidatissimo “Uccio” per Valentino Rossi.

Ma potrei portare decine di altri esempi simili. Tutti con un fedelissimo personaggio sul quale scaricare tensioni, rabbie e gioie. Una specie di psicologo e confidente personale.

A confermare ulteriormente le mie considerazioni è stata la notizia che Lewis Hamilton aveva utilizzato l’aiuto di uno psicologo per superare un momento difficile della sua carriera. Il momento del distacco da suo padre come assistente ed accompagnatore.

Molti avevano commentato in maniera scettica o critica questa informazione. Invece è una chiave di lettura della crescita tecnica del pilota Hamilton. Perché prima c’è stata la sua crescita interiore.

Forse qui possiamo leggere la ragione delle défaillance di Sebastian Vettel. Finché era stato il pilota di Toro Rosso e poi di Red Bull al quale andava tutto bene, filava tutto liscio: pole, vittorie titoli mondiali, un team con dinamiche interne quasi caserecce, sereno, nel quale si lavora con la musica rock a tutto volume… ma quando si è trovato a dover affrontare un’altra realtà, in una squadra come la Ferrari dove era atteso immediatamente a grandi risultati, un team glorioso, dove tutti camminano fluttuando a mezzo metro da terra, dove i riferimenti possono spesso cambiare. Un team carico di storia, di successi, sul quale c’è la concentrazione, l’attesa e l’attenzione di mezzo mondo e di tutta una nazione: l’Italia. Una pressione difficile da  gestire. Allora…

Forse lui non ha il confidente, il fedele amico con il quale sfogarsi, consultarsi, incazzarsi in privato.

Se lo troverà probabilmente gli si apriranno orizzonti infiniti.