Fernando Alonso termina con il GP di Abu Dhabi la propria carriera in F1, anche se ha dato per certo il suo ritorno nella massima formula. Ad attenderlo c’è ancora una volta l’avventura americana, che affiancherà alle gare del WEC, con l’obiettivo di conquistare la “Triple Crown”, per la quale gli mancherebbe solo di aggiudicarsi la 500 Miglia di Indianapolis, eguagliando così il leggendario Graham Hill.
Ma adesso è il tempo dei saluti per l’asturiano, che chiude la propria carriera con 314 GP disputati, 32 vittorie, 22 pole position e 23 giri record, 97 podi (quasi uno ogni 3 gare), 2 titoli mondiali e tante, forse troppe, parole pronunciate sul suo conto. Mass dumper, spy story, crashgate, “GP2 engine”, “Siete dei scemi!”, “La macchina degli altri…”, “Fernando is faster than you”… ecco le frasi che forse più delle altre riecheggiano nelle orecchie degli appassionati di questo sport, quelle che lo hanno visto protagonista di episodi certamente controversi, che hanno fatto parlare di lui sin dal suo esordio, quando a bordo di una Minardi con la quale, se non ci fossero stati i ritiri che hanno caratterizzato la stagione, avrebbe potuto ottenere dei risultati clamorosi.
Già l’esordio con il team di Faenza, però, è propiziato dall’incontro che gli cambia la vita e la carriera, quello con Flavio Briatore. Il manager di Verzuolo lo segue durante tutta la sua carriera, propiziando quelli che saranno gli anni più lucenti grazie alla rinascita del team Renault, che finalmente per la prima volta nella storia raggiunge l’apice delle classifiche come costruttore, dopo aver vinto in passato come motorista anche grazie allo stesso Briatore. Saranno gli unici due trionfi iridati dell’asturiano, capace di dirottare le attenzioni dei tifosi spagnoli verso la massima categoria a 4 ruote, in un Paese dove il Motomondiale ha la padronanza assoluta come sport motoristico in termini di audience.
Un pilota che ha fatto molto parlare di sé non solo con quanto successo dentro e fuori dalle piste. sia negli anni della Renault che in seguito, alla McLaren e alla Ferrari, ma anche per quello che era il suo particolarissimo e unico stile di guida, aggressivo sulla ciclistica e la meccanica e proprio per questo particolarmente efficace in termini velocistici.
Uno stile forse modificato nel corso degli anni, che gli ha permesso di raggiungere ottimi risultati sia alla Minardi che alla Renault. Alonso si è distinto non solo per il suo stile di guida, ma anche per le tante, troppe parole che hanno caratterizzato gli anni della sua carriera, mai banali ma che spesso hanno avuto degli effetti dirompenti nei rapporti con i team nei quali ha corso (Ferrari e McLaren ne sanno qualcosa).
Quello che, però, forse traspare da questo fiume di parole è l’inesauribile passione del Samurai per il proprio lavoro di pilota, che per poter vincere ha bisogno di condizioni ottimali anche all’interno del team in cui si trova (i rapporti umani sono fondamentali, particolarmente intenso è stato quello con Jules Bianchi). Anche perché la tenacia e il talento dello spagnolo, con cui ripaga spesso e volentieri il proprio team, sono certamente fuori discussione, essendo stato l’unico pilota a battere Michael Schumacher nel momento in cui la Ferrari era nel suo massimo splendore.
Un pilota che certamente mancherà alla F1 (almeno fino al suo possibile rientro), specie nel momento in cui viene annunciato il ritorno di Robert Kubica, proprio in questi giorni. Il rientro del polacco restituisce credibilità a questo sport, ormai fatto di piloti con le valigie gonfie che possono permettersi il lusso di mandare a casa piloti che possono essere in grado di garantire risultati e, proprio per questo, l’uscita di scena dello spagnolo si farà sentire parecchio.
Ad attenderlo c’è un’altra McLaren, quella che correrà il campionato Indycar, e la 500 Miglia di Indianapolis che gli è sfuggita di poco ma che certamente farà di tutto per riconquistare prima possibile. Tutto questo oltre al mondiale Endurance, che quasi certamente saprà far suo.
Buena suerte Fernando!