La prestazione di Fernando Alonso nel Gran Premio di Singapore ( 7° assoluto ed unico pilota non doppiato fra quelli dei team di seconda fascia ) merita alcune considerazioni: sul pilota e sull’uomo.
| di Renato Ronco
Diciamo subito che perdere Fernando Alonso per la Formula 1 è un danno, un peccato.
Sul valore del pilota non si può discutere. Non si vincono due titoli mondiali per caso, non si va ad Indianapolis per la prima volta e si sfiora il successo, non si va a Le Mans per la prima volta e si vince. Per adattarsi a situazioni di guida tanto diverse bisogna avere una capacità di gestire il proprio cervello, la propria volontà, le proprie sensibilità del tutto eccezionale.
Ma tutta la carriera di Alonso è una prova del suo talento. Basta chiedere a Giancarlo Minardi che gli diede la prima opportunità, o a Cesare Fiorio che assistendo al primo test di Fernando disse a Minardi: “A questo devi fargli un contratto subito!”.
Passato poi alla Renault, dopo un anno da collaudatore (umilmente), arrivò a due titoli iridati. Certo ha fatto i suoi errori: quando arrivò in McLaren, e si trovò accanto quel fenomeno di Hamilton, capì subito che avrebbe avuto nel team un avversario durissimo e protetto dal team. E fece un paio di errori di comportamento, pur sfiorando il titolo per un solo punto.
Purtroppo ha avuto la sfortuna di arrivare alla Ferrari, sfiorando il titolo due volte, in uno dei periodi più complicati per il team. Una situazione che tra l’altro lo ha inasprito anche nel carattere. Alla fine sembravano separati in casa.
E qui passiamo all’analisi dell’Alonso “uomo”. Ingiustamente accusato, secondo me, di essere scostante, prepotente o scabroso. Ogni volta che l’ho incontrato, a cominciare da quando lo conobbi, è sempre stato amabilissimo.
Era il 2001 quando esordì con la Minardi. Ragazzino, venne in studio da me a Montecarlo per un’intervista ed alla fine, uscendo dallo studio TV, gli dissi: “Tu sarai campione del mondo!”. “Perché dici questo?” – mi chiese . “Perché hai la testa giusta!” gli risposi.
Poi scherzammo sul fatto che in Minardi gli dicevano “ Fernando dos cafès”” e non capiva il perché. Gli spiegai che era una battuta di uno spot televisivo di un marca di caffè. E da quel momento i suoi titoli mondiali, per noi, rincontrandoci, erano “cafè”: il primo ed il secondo. “ Dos cafès” appunto, e ci davamo appuntamento per il terzo, purtroppo mai realizzato. Ed ogni anno ci scherzavamo su.
Una volta, sempre a Montecarlo, in una sala accanto al Casinò, dovevo condurre un talk-show per uno sponsor a cui partecipavano Alonso, Trulli e McNish. Lo feci parlare di musica, di gusti personali di vita, e ci facemmo belle risate: specialmente quando nel ricordargli che il pilota spagnolo più famoso nella storia a lui precedente era stato Alfonso De Portago. Ed enumerai tutti i cognomi ed i titoli nobiliari di quel personaggio. Tra gli altri anche quello di Marchese “ Cabeça de vaca”. Scoppiò in una gran risata e l’allegria fu la cifra di quella giornata.
Non dimentichiamo infine quel che ha fatto in Spagna per creare una leva di giovani piloti iniziando dal kart. Insomma mi sento di difendere Fernando Alonso dalle molte critiche che hanno accompagnato il suo annunciato ritiro dalla Formula1. Sicuramente lo applaudiremo ancora.