Il Gilles Villeneuve privato

Gilles VIlleneuve l’acrobata, l’aviatore, il re del controsterzo. Il pilota che scatenò la febbre del tifo più rovente della storia della Formula 1 aveva, come è logico che fosse, un suo “privato”. Nel quale era difficilissimo e rarissimo poter entrare.

Io ebbi l’ocasione, e la fortuna, di poter entrare un poco in questo suo “privato” quando, tra la fine del 1979 ed i primi mesi del 1982, venne più volte nello studio di “Crono – Tempo di Motori” (che però all’epoca si chiamava semplicemente ”Chronò” , alla francese ) a TeleMontecarlo nel Principato stesso. Lui era già buon amico di un nostro operatore, Jeff Lehalle, e quindi venne volentieri a farsi intervistare una primavolta, e poi una seconda e poi più volte, aprendosi a confidenze, pareri, giudizi. Sulla Formula 1, sulla Ferrari, ma non solo. Parlava uno strano francese, da canadese, un po’ nasale, mangiandosi qualche sillaba, ma io lo capivo bene e lui lo percepiva, più sereno.

A CASA DI GILLES

Maturò così un reciproco rispetto, al di là del rapporto professionale, che mi permise di poter addirittura entrare a casa sua, in una villetta con piscina proprio all’ingresso del Principato di Monaco, sul lato verso l’Italia.

Ed in particolare in quel mitico Gran Premio di Montecarlo del 1981, rocambolascamente conquistato con la Ferrari 126 Turbo dal ferrarista più amato della storia. Andammo da lui sia prima della gara – e realizzammo così quelle immagini in cui, guidando un “Ciao” già con addosso la tuta da corsa, porta sull’inesistente seggiolino anche la moglie Joanna – che, soprattutto, qualche giorno dopo la vittoria.

LA PROTEZIONE DELLA FAMIGLIA

Era in piscina, tranquillo, sereno, con la moglie accanto ed i due bambini – Jaques e Melania – che però vennero fatti subito rientrare all’interno dell’abitazione. Non amava che i suoi figli fossero avvicinati da estranei o giornalisti.

Fu una bellissima intervista, in un ambiente unico, mi firmò la copertina di Autosprint che inneggiava al suo successo, e fu ancor più piacevole ed interessante a telecamera spenta. Da quel momento fu ancora più facile riaverlo in studio e tornai da lui quando la Piaggio, per i suoi figli, gli fece omaggio di due ciclomotori che, per praticità, vennero inviati a casa mia, a Bordighera e quindi in Italia, ad una ventina di chilometri da Monaco. Trovai il modo di recapitarglieli e me ne fu grato.

L’OFF-SHORE

Tanto che qualche mese dopo fu lui a chiamarmi perché andassi con l’operatore al porto per vedere, e ovviamente filmare, il suo nuovo acquisto: un motoscafo off-shore potentissimo, come piaceva a lui che amava domare tanti, tantissimi cavalli.

In quell’occasione aveva portato con se anche Jaques, il figlio di nemmeno 11 anni, con il quale mi misi a chiacchierare a poppa, mentre a prua l’operatore riprendeva, sotto le indicazioni di Gilles, i dettagli dei comandi della barca di cui andava fiero. Quando sentì la voce di Jaques che rispondeva a qualche mia domanda, si voltò seccamente per vedere chi parlava con suo figlio.

Il suo sguardo fu severo, per un attimo. Poi vide che stava parlando con me e, tranquillizzato, tornò ad immergersi nelle riprese del suo “giocattolo”. Avevo conquistato al sua fiducia.

L’ULTIMO INCONTRO

L’ultima volta che ci incontrammo fu un po’ prima della maledetta gara di Imola. Venne in studio di registrazione alle 11 del mattino di un giovedi. Conosceva il percorso e me lo ritrovai puntuale su al terzo piano. Era più serio del solito ed un po’ sbrigativo, ma sempre corretto.

Al termine dell’intervista, su cui si basava la puntata per la sera, lo accompagnai fino all’uscita del palazzo e lo vidi salire su di una A112 Abarth 70 HP. Allora gli chiesi se si trovava bene a girare per Monaco con quella piccola ma scattante vettura a trazione anteriore. E lui, mettendola in moto, mi rispose testuale “Les Tractions Avant c’est toutes de la mèrde”. E con una risatina fece inversione ad U con un’unica manovra in una strada abbastanza stretta facendo urlare il motore e le gomme mentre tirava il freno a mano.

ERA GILLES!

Gli piaceva alimentare quella fama di acrobata. Tanto è vero che quando percorreva la strada fra Monaco e Maranello a media molto elevata, era comunque rispettoso delle regole. Quando poi arrivava a Maranello piantava due o tre testa-coda e due frenate perché sapeva che da lui la gente ed i suoi meccanici se lo aspettavano. Era il suo personaggio. E lui lo alimentava. Almeno, così mi raccontava l’Ingegner Forghieri.

LA TRAGEDIA

Il sabato delle qualifiche della gara di Zolder, in Belgio, la rete di Telemontecarlo non aveva previsto la trasmissione delle prove. C’era qualche impegno di programma già concordato ed io non dovetti commentare le qualifiche (in quel periodo realizzavo i commenti da studio con il supporto di qualche pilota o manager della F1). Non so come e cosa avrei fatto se mi fossi trovato a commentare in diretta quelle terribili immagini, che ho tuttora nei miei occhi e nel mio cuore.

La domenica però dovetti commentare una gara triste, e soffrii tanto. Come tutti, credo.

Renato Ronco
Renato Ronco
giornalista, specializzato in motoring sportivo e commerciale dal 1963

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