Sono passati ormai 24 anni dalla morte di Ayrton Senna e oggi mi sento in dovere di ricordarlo per come l’ho conosciuto.
E’ sempre più difficile incontrare un uomo che abbia delle idee. Ed è ancora più difficile che le sappia esprimere.
Difficilissimo poi è trovare un pilota come delle idee e le sappia esprimere. Ecco: Ayrton Senna era un pilota, eccelso, che aveva delle idee e non solo le sapeva esprimere. Lui sapeva farlo in portoghese, italiano, inglese e ultimamente anche in francese, indifferentemente.E con una proprietà di termini formidabile e chiara.
Sta anche in questo la ragione del vuoto che ha lasciatone nel mondo intero, il 1° maggio 1994, per quel terribile botto ad Imola, delle cui conseguenze ebbi immediato sentore osservando quel casco immobile nell’abitacolo della Williams rimbalzata in mezzo alla pista.
Vi capiterà spesso di sentire o leggere commemorazioni e rievocazioni dei suoi successi, della sua grandezza di pilota del suo stile di guida. Ma non è tutto. Perché Ayrton, e ve lo può testimoniare chi come me gli è stato vicino per tutta la durata della sua carriera, era grande come uomo prima di tutto
LA SUA GRANDE PASSIONE
Era unico nella sua caparbietà, nella sua filosofia di vita e di pilota, nella sua gentilezza, educazione, disponibilità. Nella sua passionalità quando conquistava un successo o lottava per conquistarlo. Nella sua freddezza calcolatrice quando doveva diventare cattivo per vincere, anche forzava la sua indole perché il rispetto per gli altri pilo era importante.
Meticoloso fino all’eccesso nella preparazione della macchina. L’ingegner Dudot della Renault, che aveva lavorato con Mansell e Prost prima che con lui, ci disse proprio alla vigilia dell’incidente di Imola: “ Mansell non si curava della macchina. Quella che gli veniva consegnata la adattava velocemente alla sua guida, la domava per fare il tempo, e poi ce la lasciava lì per la gara dell’indomani. Prost controllava e testava ogni particolare e poi, al termine delle prove, ci lasciava una lunga lista di modifiche da effettuare. Senna controlla tutto, corregge e modifica e dopo le prove ci consegna anche lui una lista lunghissima di lavori da fare, ma si ferma a verificare che li facciamo. Non bene, ma benissimo”.
IL SENSO DELLA COMUNICAZIONE
Ayrton sapeva che la Televisione era il mezzo per amplificare la sua popolarità, per accrescere l’affetto nei suoi confronti, per creargli quell’immagine che poteva distinguerlo dai colleghi. E quindi non appena percepiva che c’era una telecamera puntata su di lui, con un microfono , cambiava atteggiamento: ma non in negativo come la maggior parte dei piloti, bensì in positivo.
Un giorno durante un’intervista multipla con almeno una decina di telecamere concentrate su di lui a pochi centimetri dal suo viso, smise di colpo di parlare. S’era accorto che il mio cameraman aveva l’obiettivo della telecamera offuscato dalla condensa.. Gli si rivolse in italiano ( conosceva la nazionalità di ogni addetto ai lavori nel grande marasma del paddock ) per segnalargli l’inconveniente: “Guarda che è sporco” gli diceva. E l’altro non capiva. Allora insistette: “ E’ opaco!” gli ribadì. A quel punto il cameraman capì e pulì l’obiettivo. Solo allora riprese l’intervista.
Stupefacente! Rispetto per il lavoro altrui, ma anche consapevolezza che quell’intervista, così, non avrebbe potuto essere usata.
Era incredibile come riuscisse a memorizzare ed a conoscere lo svolgimento di un Gran Premio. Non solo la sua gara, il che era logico e normale, ma quella degli altri. Nel dopocorsa infatti, che avesse vinto o perso, nella sua intervista a caldo era in grado di spiegare e raccontare tutto quello che era successo a lui ed ai suoi colleghi. Non ho mai capito come facesse!
LA SUA DISPONIBILITA’ ASCETICA
Non l’ho mai visto rifiutare un autografo. L’ho sentito spiegare con una lucidità affascinante le motivazioni agonistiche della sua carriera. Ma sarebbe più corretto dire della sua vita, che coincideva esattamente con la sua carriera, alla cui religione aveva votato tutto se stesso.
La sua misticità nel recitare giorno dopo giorno, anno dopo anno l’evoluzione della sua carriera di pilota era quasi ascetica. Per questa ragione pativa terribilmente un errore, una sconfitta, una scelta sbagliata se questa era dipesa da lui. Se invece dipendeva da inefficienze del mezzo o da errori altrui, allora era sì contrariato, ma stimolato ad un impegno ancor maggiore. Ed in questi casi sapeva reagire anche con ironia.
Ricordate l’episodio del 1988 quando a Monza venne privato della vittoria dalla manovre di Schlesser? Il francese della Williams interferì nel doppiaggio da parte della McLaren di Senna sbattendolo fuori strada a pochi giri dal termine di una gara nettamente dominata.
Ebbene, due ore dopo, mentre era in attesa nell’area dell’autodromo adibita ad eliporto, si trovò a qualche metro da Berger ed Aboreto che con le Ferrari avevano così ottenuto il 1° e 2° posto nel Gran Premio. E mentre i due della Ferrari stavano per salire sul loro elicottero lo sguardo di Senna e quello di Alboreto si incrociano. Ayrton fece un sorriso ammiccante e, adagiata a terra la sua valigetta, fece con le mani un gesto eloquente unendo i pollici e gl’ indici: “ Avete avuto un bel c…”
Capiva perfettamente le esigenze dei giornalisti e quindi accettava di sacrificare un po’ del suo tempo libero per concedersi a loro anche quando ne avrebbe fatto volentieri a meno. E sapeva apprezzare la competenza, la serietà e la sincerità di chi gli stava di fronte, rispettando chi lo rispettava.
IL SUO RISPETTO PER GLI ALTRI
Nell’ultima intervista che gli feci one-to-one ci trovammo in una saletta dell’aeroporto per gli elicotteri del Principato di Monaco. Tornava da una gara neanche troppo positiva e mi aveva promesso che lì ci saremmo incontrati in quella saletta, Che ne frattempo avevamo attrezzato da mini-studio TV. Fu gentilissimo e disponibile nonostante la sua fidanzata sbuffasse e cercasse di farlo tagliar corto. Ma lui le rispose: “ E’ un impegno che ho preso, quindi… “. Accettò ogni domanda, con risposte interessanti, mi promise anche che sarebbe intervenuto presto ad una puntata del mio “ Processo al Gran Premio “ su TMC, che disse di apprezzare. Purtroppo non riuscì a mantenere l’impegno prima della disgrazia. Quando il pilota Donnelly con la Lotus si schiantò nel 1990 a Jerez nelle prove libere – macchina spezzata in due, pilota supino in pista senza segni di vita – l’unico a fermarsi fu lui, accostando la sua macchina ed accompagnando i soccorsi fino alla infermeria dell’autodromo.
Donnelly se la cavò, seppur minorato, ma l’unico pilota ad assisterlo in quel frangente fu Ayrton e lo vidi uscire con le lacrime agli occhi dall’infermeria, da cui il pilota fu trasferito in elicottero all’ospedale. Un’ora dopo Ayrton faceva segnare la pole-position.
UNA PERSONALITA’ RARA
Pochi ricordano che poco prima dell’inizio della stagione 1986 aveva subito una emiparesi facciale, sulle cui origini restò il mistero e che mise in forse la sua partecipazione alla prima gare del Campionato. Qualche mese dopo ci incontrammo alla presentazione di un suo sponsor e venne a sapere dal comune amico, il fotografo Angelo Orsi, che anch’io ero incappato in una forma ancor più grave di quel malanno qualche anno prima. Volle sapere tutto e fu splendido nel descrivere e capire le sensazioni anche morali che la malattia aveva provocato.Sono ormai 24 anni ch ci ha lasciato, eppure la sua immagine è sempre per me un riferimento, e gli episodi, tanti, che ci videro accanto sono indelebili. Come per qualunque altra persona che abbia avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo da vicino e che non può dimenticare.
Una personalità che, al di là della grandezza del pilota, la gente ha percepito nella sua profondità nell’arco della sua carriera, ed in tutti ha lasciato un segno.
L’AFFETTO DELLA GENTE
Un giorno, parecchi mesi dopo la sua drammatica morte, mi ero fermato da poco al rosso di un semaforo. Il finestrino della mia macchina era aperto. Di fianco a me si fermò una grossa moto anch’essa in attesa del verde. Ed il guidatore, un giovanotto sui trentanni, alzatosi la visiera del casco integrale ( non lo conoscevo ) mi si rivolse così :” Ma lei ha pianto il giorno in cui è morto Senna?”
Non ebbi esitazione, pur sorpreso, nel rispondergli : “ Eccome!”. E lui: “ Anch’io, e tanto …”
Un attimo dopo scattò il verde e la moto partì con una grande accelerata.
Quel momento non l’ho mai dimenticato, ebbi un brivido. E’ la prova bellissima di quanto Ayrton sia stato amato. E lo è tutt’ora.