Prima che inizi il mondiale 2018 di Formula 1 mi piace ricordare la personalità di Clay Regazzoni che ci ha lasciato in un banale incidente nel 2006. E se ne sente la mancanza. Quante volte nel corso di questi ultimi mondiali di F.1 mi è venuto da pensare “ Chissà cosa direbbe Clay?”. Quel Clay che puntualmente veniva a commentare ogni Gran Premio negli studi di Crono a Telemontecarlo. Ed ogni suo giudizio era preciso ed inappuntabile.
Regazzoni, il pilota Ferrari forse più amato da tifosi ed appassionati della “rossa”. Eppure era spesso critico nei confronti di Maranello: ma per troppo amore. E sarebbe molto interessante l’opinione di Clay in questa fase turbolenta della Formula 1, con diatribe regolamentari e scelte di piloti a volte discutibili.
Ma mi piace ricordarlo con un episodio del quale credo di essere stato l’unico testimone italiano e che inquadra la personalità di questo campione.
E’ il 1995. Mi trovo a Long Beach, due passi da Los Angeles, per effettuare la telecronaca della gara di Formula Indy: un Gran Premio americano di prestigio con alcune manifestazioni di contorno di alto livello. Tra queste una gara organizzata dalla Toyota con una ventina di Celica e riservata alle personalità dello sport motoristico internazionale e dello spettacolo. Tra i personaggi al via c’è anche Clay Ragazzoni. Proprio qui, dove ebbe il suo drammatico incidente che gli fece perdere l’uso delle gambe.
Ha montato sulla vettura le sue attrezzature che gli permettono di guidare manualmente l’auto ed è schierato sulla linea di partenza in quinta fila dopo le qualifiche. Ed io sono lì accanto.
Come in ogni gara americana prima della partenza viene eseguito l’inno nazionale, spesso interpretato da cantanti o artisti prestigiosi della musica d’oltreoceano. In quella occasione gli organizzatori l’hanno affidato ad un sassofonista “star” del momento che realizza una esecuzione dell’inno strepitosa. Le note che trae dal sua sax con variazioni incredibili entrano nelle stomaco, nelle viscere, suscitando emozioni veramente forti.
In quel momento mi rendo conto che accanto al finestrino dell’auto di Clay c’è Mo Nunn! E’ il titolare del team Ensign di Formula 1 e progettista – costruttore dell’auto che 15 anni prima, nel 1980, proprio su quella pista, aveva provocato il terribile incidente di Clay. Lo avrebbe paralizzato alle gambe per il resto della sua vita. La causa certa: la rottura del pedale del freno, ammessa da Mo Nunn. Quando Clay schiaccio il pedale si ritrovò senza freni ed andò ad impattare nelle protezioni di cemento di quel tracciato cittadino.
Ed ora Mo Nunn è lì, su quella stessa pista, accanto a Clay Regazzoni che sta per prendere il via, mentre il sassofonista fa venire i brividi con le sue variazioni all’inno americano.
E Clay? Tranquillo, impassibile, sorridente, chiacchiera con Mo Nunn: è pronto a prendere il via. Come 15 anni prima.
Lo giuro. Avevo le lacrime agli occhi. Come ora, mentre sto scrivendo di questo episodio.
Poi la partenza, la corsa, una bella rimonta con qualche sorpasso “alla Clay”, prima del ritiro, forse per un guasto tecnico. Ma il risultato non ha nessuna importanza. Conta solo questo flash di un momento che rivela il carattere e la forza di quest’uomo, che purtroppo ci ha lasciato. Un “frame” di emozione che a volte le gare riescono a far sbocciare. Grazie a una persona come Clay.
articolo tratto da “AutoCapitol”