Spettacolo F1, quando le regole non bastano

Poche regole o troppe, trenini di vetture o sorpassi esageratamente facili. Falsi miti e contraddizioni sullo spettacolo in F1. Ed è anche un po’ colpa nostra…

di Oreste Sicilia

E già. Come in qualsiasi contesto in cui siamo abituati ad “operare”, non basta mai l’emanazione e l’applicazione di una singola regola per modificare automaticamente la completa concezione ed assimilazione della stessa. E questo accade quando le regole vengono comunque accettate perché considerate giuste e corrette. Figuriamoci quando non lo pensiamo.

Pensiamo di poter far entrare in questo preambolo quanto sta accadendo negli ultimi anni nella massima competizione automobilistica mondiale, provando un attimo ad esaminare in maniera più chiara possibile il “problema” del mancato o ” falsatamente eccessivo” spettacolo in F1. E per cominciare dovremmo un attimo interrogarci su quello che significa F1 e che ha rappresentato sin dagli albori. Infatti, per quanto i tempi siano cambiati sia in termini di contesto socio-economico che tecnologico, in realtà c’è un comun denominatore che attraversa tutta la storia della massima espressione dell’automobilismo da competizione.

Colin Chapman e Bernie Ecclestone

Infatti, sin dai tempi dei pionieri Iano, Bradley, Chapman, Forghieri e chi più ne ha più ne metta, ogni singola idea, seppur in un contesto tecnologico estremamente diverso, pionieristico appunto, l’obiettivo era quello di produrre vetture che fossero sempre più veloci. Chi attraverso un motore con più cilindri, chi con un gruppo turbocompressore ausiliario, chi con una vettura dalla penetrazione aerodinamica eccezionale, si cercava di sviluppare il massimo nelle varie aree di competenza per rompere i record sul giro, portando all’estremo monoposto, squadra e piloti. Questo era. Questo è. E questo dovrà continuare ad essere. E il pubblico si è affascinato di quel mondo elitario che è stata la F1 perché fatta da persone “non normali”, cavalieri del rischio, come si sarebbe detto qualche tempo fa.

Ma qualcosa, nel corso della storia, è cambiato. E le principali colpe sono nostre. Noi (non) appassionati di motorsport che di F1 capiamo poco. Tempo fa, il buon Mario Donnini tra le colonne di Autosprint, scrisse come mancasse un’opinione pubblica legata agli sport motoristici in generale, così come in F1.  Parole ficcanti ma maledettamente giuste. A cui bisogna aggiungere un problema “generazionale” dovuto al fatto che gli under 30 sono veramente pochi a seguire una competizione non “facilmente intuibile”, dove una vittoria ed una sconfitta va spiegata, così come un secondo posto che vale più di “rischiare il duello in pista con il concorrente che ti precede”.

Scuderia Toro Rosso al GP degli Stati Uniti 2017

Infatti, a proposito di gap anagrafico tra chi segue ancora la categoria e che fa affidamento a “com’era una volta” e chi invece, in una società che sta sempre più disintermediando il pensiero, trova “complicato” capire la vittoria e la sconfitta di una gara piuttosto che di un’altra manifestazione sportiva più “immediatamente intuibile”.

E tutto questo si incanala pericolosamente e paurosamente sulla questione “spettacolo F1”. Negli anni di Ecclestone, si è provato in tutti i modi a favorire le bagarre in pista, fino al pessimo (secondo il parere di chi vi scrive) esordio del DRS. Come se la F1 galvanizzasse solo mediante i sorpassi. Ma al contempo sarebbe troppo comodo dare la colpa a chi sulla F1 (prima Ecclestone ora Liberty Media) ha creato un Business, poggiato proprio su noi fruitori finali. Abbiamo rotto le balle che per anni la massima categoria fosse noiosa, ci ricordiamo quando dicevate “Eh ma che palle i trenini di vetture una in fila all’altra“. Adesso, in epoca DRS, a seconda se questo produca vantaggio al pilota o squadra per cui si tifa, ha i suoi “fans” e detrattori.

Questa tremenda contraddizione, nasce dal fatto che la F1 spesso non è capita.

Daniel Ricciardo, Red Bull Racing, Montecarlo 2016

Nel vedere sfilare un trenino di vetture alla chicane delle piscine a Montecarlo a 230 km/h sfiorando le barriere, oppure un sorpasso in staccata alla seconda variante di Monza, come un side by side sul rettilineo del Kemmel con DRS azionato senza che il sorpasso vada a conclusione, come un leader del Gran Premio che fa gara da solo provare a rischiare il giro più veloce aggredendo come si deve un curvone veloce, un pilota che salva o guadagna la sua posizione perchè al pit stop i meccanici hanno effettuato la sosta in 2 o 3 decimi meno. Tutto questo non è roba da F1?

E’ chiaro che sono situazioni totalmente diverse e ce ne sarebbero altre 1000 da poter prendere come esempio, ovvio. Ma la domanda è un’altra: possibile che il pubblico senta un pizzico di adrenalina solo in fase di sorpasso e non, ad esempio, apprezzando il fatto che un pit stop durato mezzo secondo in meno sia una “fase di gara” in cui l’intera squadra sia andata al limite tecnico e umano con il “rischio” che quel pit stop avrebbe potuto creare dei problemi allo stesso pit stop?

Ma per provare a capire tutto questo, ci vuole conoscenza. Da parte di quelli che si ritengono appassionati di F1, ma che in realtà sono solo degli inverecondi tifosi. Già, il tifo, altro aspetto che andrebbe commentato, ma che ci riserveremo di farlo in altra sede. Conoscenza, da parte dei fruitori finali ma anche di noi che questo mondo lo commentiamo. Ma inutile girarci intorno. La F1 non è per tutti.

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