Niente più ombrelline. Solo tante ombre. E all’orizzonte le nuvole cupe dello scandalo Weinstein. Liberty Media, per ripararsi dal temporale, si scopre puritana e si copre mettendosi a servizio della morale che fa comodo. Incurante della pioggia di critiche, nega un binomio universalmente riconosciuto: Donne e motori.
Le donne in Formula 1 sono altro, d’accordo. C’è stata Maria Teresa De Filippis, l’antesignana, prima donna a qualificarsi in un gran premio della massima categoria, anno 1958, su Maserati. Poi è la volta della caparbia Lella Lombardi: nel 1975, alla guida della sua March, ha conquistato uno storico mezzo punto nel corso di un rocambolesco e funesto Gran premio di Spagna. E ancora Giovanna Amati con la sua Brabham; la sudafricana Desiré Wilson; la britannica Divina Galica, divisa tra sport invernali e motori; Maria De Villota, tester Marussia nel 2012, morta a causa delle complicazioni dovute ad uno sciagurato incidente.
Storie diverse e magnifiche, che hanno tinto la Formula 1 di rosa ben prima che arrivasse l’ennesima mescola Pirelli. Storie di donne mitiche che hanno sfidato pregiudizi, convenzioni, rischi. Di loro rimane un ricordo sbiadito. Perché nell’immaginario collettivo le donne, nel mondo dei motori, sono rappresentate dalle splendide ombrelline, statuarie e bellissime, schierate ad incorniciare le vetture con i loro sorrisi, la loro leggerezza, i loro abiti colorati e succinti. Una grazia composta, forse un po’ frivola, ma mai invadente. Luminose presenze che si stagliano nei concitati momenti pre-start. Rassicuranti certezze in mezzo al caotico via vai degli addetti ai lavori.
Ma anche di loro tra poco rimarrà un ricordo sbiadito. Liberty Media le ha cancellate con un colpo di spugna, scomodando concetti forti come “valori” e “società”. Le parole di Sean Bratches risuonano come la potente eco di un predicatore calvinista: “La pratica di impiegare le ragazze in griglia è stata un caposaldo dei gran premi di Formula 1 per decenni, ma riteniamo che questa usanza non sia in sintonia con i valori del nostro marchio e sia chiaramente in contrasto con le norme della società moderna.”
È curioso notare come simili concetti vengano espressi da un colosso finanziario basato sulla telecomunicazione, ancora di più se si pensa che si tratta di una società americana. E gli Stati Uniti sono la patria di cheerleaders e majorettes. Del resto alle contraddizioni made in USA ci stiamo oramai abituando. Più difficilmente ci abitueremo alla mancanza delle ombrelline. Senza di loro la griglia di partenza rimarrà orfana. Solo piloti, con la loro concentrazione. Solo meccanici, con la loro precisione. E gli immancabili team principal, intenti a dribblare i giornalisti o a rispondere con la solita reticenza alla stessa prevedibile serie di domande. La parata della Formula 1 partirà dunque in sordina. Senza il vivace rumore dei tacchi, ormai rigorosamente vietato. Ma con il rombo singhiozzante dei motori, che verrà grottescamente amplificato.
Bernie Ecclestone, ex patron del circus, si scaglia contro questo provvedimento, tuonando frasi lapidarie: “Le grid girls facevano parte dello show. Ai piloti piacciono, al pubblico piacciono e a nessuno importa. Non riesco a capire come una bella ragazza vicino ad un pilota possa essere considerata una cosa offensiva per qualcuno. Sono diventati tutti moralisti.” Liberty invece la butta sull’eroismo e sul sito ufficiale della Formula 1 pubblica un ambiguo tweet, la cui intenzione sarebbe quella di celebrare le imprese dei piloti sul bagnato, ma le cui parole sembrano
portatrici di ben altro significato: “When the umbrellas go up, the masters come out to play”. Una polemica neppure troppo celata che rischia però di trasformarsi in un’arrugginita retorica.
Non sarà né un ombrello né un ombrellina a determinare le gesta di un pilota. Come sempre parlerà la pista. Lasciamo che ogni ambito abbia il suo contesto. Non ergiamoci a paladini del femminismo attribuendo connotazioni negative a un mestiere come tanti. Equivarrebbe a discriminare. E non stigmatizziamo un certo tipo di ragazza rendendola simbolo di ciò che non è. Essere donna ha molteplici e infinite sfumature. Non riduciamole ad un unico colore. Non infanghiamole tingendole di squallore. Non strumentalizziamole in nome dell’onore.
Donne pilota, donne meccanico o donne immagine. Che restino tutte lì, insieme. In pole position o nelle retrovie, baciate dal sole o rintanate in un box. Con in mano un casco, un bullone o un ombrello. E, anziché indignarci, ricordiamo un verso di Gozzano: “Donna: mistero senza fine bello!”