Avere una Squadra B o satellite sta diventando sempre più importante per i top team. Non ci sono soltanto vantaggi tecnici ma anche e soprattutto politici, in vista delle battaglie ai tavoli decisionali che andranno a plasmare la F1 del prossimo futuro.
di Francesco Svelto | Follow @f_svelto
La F1, come più o meno tutte le cose, sta seguendo una fortissima evoluzione che coinvolge gli aspetti tecnici, sportivi, politici. Negli ultimi anni abbiamo visto come all’interno di una griglia vi siano due categorie di team: quelli che lottano per vincere e quelli che si accaparrano le briciole. Nei primi annoveriamo Ferrari, Mercedes e Red Bull, nei secondi tutti gli altri.
Vi è quindi questa spaccatura, netta, decisa, imprescindibile, che sta caratterizzando ogni appuntamento iridato da ormai diversi anni. Gli outsider sono sempre meno, le gare imprevedibili quasi zero. La vittoria in F1 è un affare per pochi intimi.
Ecco perchè tra gli interventi di Liberty Media, che detiene da ormai un anno i diritti commerciali del brand e del prodotto di F1, vi è al primo posto quello della spettacolarizzazione. E gli americani – che dell’argomento ne sanno probabilmente più di tutti sull’intero globo – per arrivare a questo sono disposti a tutto, anche a minare le fondamenta su cui è stato costruito l’intero sport.
Nel 2018 assisteremo ad una F1 che darà vita a due tipi di eventi: quelli che si correranno su pista – e che noi tutti preferiamo – e quelli dei tavoli decisionali, con personaggi più o meno interessati al bene della categoria ma che decideranno dove il marchio F1 andrà nel futuro a breve e medio termine. Sarà una lotta dura, a cui parteciperanno ovviamente anche i team di F1 stessi, i veri protagonisti dello show.
Ecco quindi che i piccoli team potrebbero rientrare in gioco. Non per vincere in pista ma per assumere un ruolo fondamentale, quasi decisivo, per la F1 che verrà. Come? Vedendosi affiliati ai team dominatori della scena attuale.
Red Bull in tal senso ha fatto da apripista oltre 11 anni fa acquisendo la Minardi e facendola diventare Toro Rosso, ossia il proprio Junior Team. I benefici scaturiti? Molteplici. Per ambo le parti in gioco. Per Red Bull in quanto – nei limiti del regolamento – ha instaurato una corsia preferenziale da e verso Faenza per provare sia soluzioni tecniche che piloti del vivaio o anche personale specializzato. Per Toro Rosso, invece, la stabilità economica del marchio unitamente allo stesso supporto tecnico che è di altissimo livello. Insomma, apparentemente hanno vinto tutti. Ma c’è di più: il gruppo Red Bull che viaggia coeso, compatto, come un’unica entità alle riunioni che contano. Due voti, non più uno, in fase di votazioni; due voci che chiedono le stesse cose.
La Ferrari ha iniziato di recente un qualcosa di simile con la Sauber. Sappiamo tutti che Hinwil e Maranello sono molti legati dall’ormai lontano 1996, da quando gli svizzeri hanno iniziato un rapporto di collaborazione tecnica con gli italiani in quanto a motorizzazione ma non solo. Rapporto che si è interrotto soltanto durante la parentesi BMW e che è si è rinnovato di recente, ancora più forte di prima, con il passaggio di piloti, motorizzazioni e know-how tecnico di ambito Ferrari e che è sfociato addirittura con la ri-denominazione del team in Alfa Romeo Sauber F1 Team. Tralasciamo in questo articolo i commenti a quella che – solo apparentemente – sembra una operazione di puro marketing ma le conseguenze politiche sono molto chiare: Ferrari affronterà i tavoli decisionali che plasmeranno le regole della F1 del prossimo decennio con un alleato in più che di questi tempi – con le minacce rosse di abbondano più concrete di quello che sembrano – potrebbe aiutare e non poco.
E Mercedes? Allo stato attuale sembrerebbe l’unica a non avere un appoggio di una propria Squadra B ma sono recentissime le parole di Toto Wolff che ha definito Marchionne come “Un visionario!” – in termini prettamente positivi – per quel che concerne l’operazione di Alfa Romeo e Sauber, sia per quel che concerne le possibili conseguenze sul mercato dell’auto, ma soprattutto per quanto riguarda le suddette alleanze politiche. Ricordiamo che Mercedes è stata la principale beneficiaria dell’attuale architettura dei motori – anche e soprattutto grazie alle proprie competenze – quelle power unit che dal 2014 hanno iniziato la più grande rivoluzione della storia della F1 e che potrebbe portare il grande circo in pochi anni ad essere l’ombra di se stesso, se volgiamo gli occhi al passato e alle sue tradizioni.
Mercedes vorrebbe quindi – giocoforza – continuare su questa scia regolamentare (cosi come Jean Todt e la FIA); Marchionne no. Ecco perchè è volontà di Mercedes di approfondire la questione e cercare un team satellite anche per Stoccarda. Per contrastare politicamente e prevenire l’arrembaggio della Ferrari che, tramite il suo presidente, vorrebbe fare passi indietro e tornare ad una F1 più tradizionale o – quantomeno – che non si discosti troppo da quella a cui tutti siamo abituati. E che amavamo.
Francesco Svelto