L’Alfa Romeo anni 80 ed i difficili problemi al cuore

Il divorzio dalla Brabham fu un atto dovuto e per il 1980 l’Alfa Romeo si presentò ai nastri di partenza creando insieme a Ferrari e Renault quella parte legalitaria che spesso si è contrapposta ai team inglesi in sede di costituzione regolamentare. Sul fronte sportivo, i piloti scelti furono il confermatissimo Giacomelli, bresciano velocissimo innamorato del progetto Alfa Roemo e Depailler, pilota riottoso alla disciplina di team ma veloce e ottimo collaudatore.

La morte del francese durante i test in Germania, bloccarono lo sviluppo della macchina italiana, anzi il cda Alfa Romeo cominciava ad interrogarsi sulla necessità di impegnarsi in uno sport tanto costoso e pericoloso ma la pole position di Bruno Giacomelli al Glen fece rasserenare gli animi e contribuì a stanziare i fondi per la stagione 1981. Il motore italiano nel 1981 fu vittima della macchina, che senza i correttori di assetto per gran parte della stagione, recitò un ruolo da comprimario godendo solo dell’unica soddisfazione a Las Vegas quando Giacomelli arrivò terzo, ma avrebbe addirittura provato a vincere se fosse partito più avanti nello schieramento.
Il punto fermo della casa di Arese rimase il proprio v12, intorno al quale Ducarouge, il nuovo tecnico assunto per riportare n alto il marchio, diede vita alla 182 una macchina bellissima che regalò una pole alla terza gara e un podio a Monaco. Mentre in pista la macchina stentava, ormai il motore aspirato era un esemplare in via di estinzione: non è un caso che ben figurò solo in piste dove non era necessaria una prestazione velocistica elevata. Questo convinse Chiti a progettare il proprio motore turbo.
Durante le prove del Gran Premio d’Italia debuttò il motore turbo Alfa Romeo. La 182 venne modificata nelle dimensioni del cofano motore e nelle aperture sulle pance laterali e, seppur con qualche problema di gioventù dimostrò subito delle interssanti doti velocistiche.
Chiti andò controcorrente creando un motore a 8 cilindri, perché, a sua opinione, a parità di cilindrata, il frazionamento a 8 cilindri avrebbe sforzato meno gli organi in movimento del motore, come le bielle e i pistoni guadagnando in trazione ai bassi regimi ed eliminando totalmente il ritardo di risposta tipico del motore sovralimentato. Ma le doti di tecnico di Chiti non erano pari alle sue capacità politiche e a fine 82 tutto il progetto F1 venne dato in gestione all’Euroracing.
Nonostante gli sforzi dell’Ingegner Chiti di creare un motore innovativo, l’unità aveva dei difetti di base che portava ad avere tempi di risposta troppo lenti e un continuo surriscaldamento. Alla vigiglia della stagione 83, la squadra corse rilevò che i maggiori problemi erano dovuti alle turbine di costruzione Alfa-Alfa, troppo grandi, che non permettevano prestazioni pari ai motori dotati delle stesse prodotte dalla tedesca KKK.

Ma la rivoluzione in seno alla squadra non erano finite: la squalifica di De Cesaris in Francia per l’estintore vuoto, fu il “casus belli” che portò al licenziamento di Ducarouge, ormai un separato in casa, e portò l’ing Tollentino al vertice della direzione tecnica. Dopo questo terremoto l’Alfa Romeo riescì a conquistare due secondi posti e in Belgio, De Cesaris guidò la gara per lunghi tratti. Il complesso macchina motore cominciava ad interessare il circus, ma nella relatà dei fatti il motore 8 cilindri presentava diversi punti deboli come il maggior peso degli organi in movimento e la facilità a surriscaldarsi compromettendone la testata. L’ing. Tollentino chiese all’ingegner Tonti di mettere mano all’unità e di ovviarne i difetti. Tonti provò a testare diverse turbine kkk, ma i problemi continuavano: anzi oltre alle continue rotture dei turbocompressori il motore era affetto da una continua fusione della testata. Ai problemi meccanici se ne aggiunse un’altro di tipo “regolamentare”. Per la stagione 84 il regolamento calmierò la quantità di carburante obbligando le macchine italiane a rallentare nelle fasi finali delle gare per non subire l’onta di uno stop per mancanza di benzina.

Scoraggiata dai risultati l’Alfa Romeo decise di ritirarsi dalla Formula 1; col senno di poi, possiamo dire che il motore turbo aveva una base di validità, era dotato di 4 valvole per cilindro e un peso molto contenuto per gli standard di allora, solo 130 kg; fosse stato dotato di un iniezione elettronica Bosh, sistema in voga allora su tutte le unità specialmente tedesche, invece che quella Alfa e di turbine più adatte, avrebbe ben figurato.
Il motore Fu il capo espiatorio delle figuracce in pista, e fu strano questo atteggiamento, perché dall’ingresso dell’ Euroracing in poi, la scarsa competitività dei telai fu fondamentale nelle prestazoni dell’unità, tanto che l’Alfa lo cedette quasi a titolo gratuito all’Osella, rinnegandone anche il nome: il motore venne chiamato Osella v8.
Le difficoltà dell’Osella, squadra che tanto faticava a farsi spazio nella massima formula, non permisero al motore di evolvere anzi, al momento della messa al bando dei motori turbo per la stagione 89, con un certo sollievo venne accantonato facendolo sprofondare nell’oblio.
Questo fu l’ultimo motore Alfa di Formula 1, un bell’esperimento che se ben sviluppato, coi suoi 8 cilindri, avrebbe contribuito con la Ferrari a scrivere pagine gloriose nella storia della F1.

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