La ricetta di Liberty Media per la F1 sembrava di quelle prelibate: equilibrio tecnico tra i team, un campionato più combattuto, gare spettacolari, aumento degli sponsor. Purtroppo gli americani non sono riusciti ad essere all’altezza del menù, proponendo un polpettone indigesto che ha come ingredienti un mix di regole insensate condite da limitazioni più che restrittive.
L’esuberanza americana si è presto trasformata in tracotanza. Quell’idea democratica di avvicinare la Formula Uno ai tifosi si è sciolta sotto la fiamma sacra della spettacolarizzazione ad oltranza. E da show a sciovinismo il passo (non quello dell’interasse) può essere breve.
La F1 made in U.S.A. si è presentata con il volto amichevole e sorridente di Chase Carey. Tratti distesi e ampi baffi che trasmettono simpatia. Il nuovo corso è iniziato in sordina, bonario e frizzante, qualche stravaganza e l’aspetto enfatico da sempre connesso all’idea del sogno americano.
Abbiamo salutato con euforia l’idea democratica di una F1 più vicina ai tifosi, più social, più interattiva. ci siamo divertiti nell’assistere alla parata texana con tanto di tappeto rosso, accolta come un piacevole diversivo dopo l’egemonia ingessata di Ecclestone.
Tuttavia l’aspetto mediatico si è rivelato un effimero corollario, un accessorio accattivante, forse, ma fine a se stesso. L’innocuo teatrino ha presto lasciato il posto a una gestione intransigente e poco rispettosa del contesto. L’esigenza di spettacolarizzare le gare, insita nell’idea americana di competizione, ha prodotto la proposta di un regolamento che sovverte l’essenza stessa della F1, in un miscuglio di contraddizioni che, lungi dal portare vitalità, finiscono con il favorire un appiattimento generale.
La sensazione diffusa è che Liberty Media stia affrontando la gestione con troppa leggerezza, al punto da voler trasformare il circus in un circo. Un gioco pericoloso e controproducente, che ha fatto dichiarare a Sergio Marchionne “non voglio giocare ad una Nascar globale”, con la conseguente minaccia di una Ferrari fuori dalla F1.
Più pacato, ma concorde, Toto Wolff afferma che “serve evoluzione e non una rivoluzione ingenua” perché “il motore attuale è il meglio” ed è inaccettabile che venga trasformato in qualcosa di “più arcaico”. Il rischio, sottolinea il direttore esecutivo della Mercedes, è quello di avallare “regole ed elementi per trasformare la F1 in un canale commerciale a basso costo”.
Il vero paradosso è che per perseguire una netta riduzione dei costi si renda necessaria una totale revisione della power unit, secondo dettami eccessivamente restrittivi. L’abolizione della componente MGU-H a favore di un turbo singolo con limiti di peso e di dimensioni, la standardizzazione di batterie e centraline e la richiesta di un alto livello di compatibilità tra motore, telaio e trasmissione comporteranno la riprogettazione delle monoposto con ingenti spese da fronteggiare.
Secondo Cyril Abiteboul è giusto “migliorare i motori attuali, ma questo va ottenuto aumentando il rumore e contemporaneamente migliorando le prestazioni”. Per il direttore generale della Renault è abbastanza inutile l’incremento di 3000 giri al minuto in regime di rotazione al fine di aumentare il sound, se poi si deve comunque ridurre il potenziale del motore con limitazioni di consumo del carburante e chilometraggio delle componenti. Abiteboul si allinea al pensiero di Wolff rimarcando la necessità di “mantenere i motori attuali come base per il futuro” e asserendo che “non c’è bisogno di fare nessuna rivoluzione nel 2021”.
Troppe restrizioni e l’assenza di autonomia potrebbero difatti minare il raggiungimento di un livello qualitativo adeguato, trasformando le monoposto regine in squallidi prototipi seriali plasmati dalla ricerca ossessiva di spettacolarità.
Più accomodante la posizione di Helmut Marko, secondo il quale “si sta andando nella giusta direzione” poiché ora “le regole sono troppo complicate”. “I fan dovrebbero essere sovrani e capire facilmente quanto sta succedendo, ma questo non è possibile con le attuali regole sui motori” sostiene l’austriaco, aggiungendo che in futuro avremo “motori tecnicamente più semplici, meno costosi, ma più rumorosi”.
L’idea di accontentare gli spettatori sarebbe di per sé vincente. Fondamentalmente tutti vogliamo assistere a gare combattute ed emozionanti. E faremmo volentieri a meno di ridicole sanzioni riguardo a manovre in pista o a penalità dovute alla sostituzione dei componenti. Ma non è limitando l’autonomia di ingegneri e progettisti che arriveremo a questo. E non è assecondando le opinioni dei tifosi che si renderà il format più interessante. la F1 non è un canale tematico. È storia. È tradizione. È passione. E non può essere snaturata per compiacere un ipotetico pubblico rifugiandosi sotto l’egida di un abusato “show must go on”.