Ferrari e Castellotti, quel signorotto del volante

Ferrari e gli italiani, una storia spesso intricata e densa, anche di lutti.

Tra le varie figure raccontate in “Race to immortality”, spiccano le storie di Collins e Hawthorn ma anche quelle di Musso e Castellotti. Chi ha vissuto quel periodo, parliamo dgli anni 50, non può non ricordare l’amicizia, il dualiso e la fine di questi due piloti italiani. Tutti drivers che hanno guidato una Ferrari ed hanno accesso la passione.

Proprio a Castellotti è stato dedicato un fumetto: la curiosità si fa pressante, come può una figura cosi lontana accendere una tale curisità tanto da farne un fumetto?
Questo signorotto di paese, era il rampollo di una ricca famiglia di proprietari terrieri di Lodi: fu iniziato alle corse dal padre, grande appassionato che, vedendo cresce nel figlio la passione per i motori, fece di tutto per bloccarne la carriera.
Quando morì il genitore, il giovane Eugenio, era ventenne, si comprò una Ferrari 166 e partecipò all’edizione del 51 della Mille Miglia. Il sesto posto finale lo portò alla ribalta delle cronache. Il suo stile aggressivo e irruento affascinava, soprattutto le donne, e gli aprì le porte della formula due dove non fatico’ ad imporsi.
Ma il destino è una porta girevole, e nel suo girare portò castellotti a Monza dove conobbe Ascari, l’idolo del volante di allora, molto diverso da lui per temperamento e stile, ma forse non abbastanza: infatti di due piloti strinsero un importante amicizia.

Non senza l’aiuto di Ciccio Ascari, il giovane Castellotti entrò a far parte della squadra Lancia per partecipare alla carrera panaericana, dove si classificò terzo, preceduto solo da Fangio e Taruffi.
Ormai Castellotti non era più una promessa, la sua classe sulle vetture sport, era universalmente riconosciuta e gli manca la F1, ma arrivò anche quella. Gianni Lancia lo chiamò a collaudare il prototipo D50. La scomparsa di Ascari portò la Lancia a ritirarsi dalle corse, non prima di aver ottenuto con la D50 la pole in Belgio e il terzo posto finale. Ferrari, nell’assimilare tutto il materiale Lancia, non volle farsi scappare il giovane italiano, ritenuto l’erede di Ascari, e, proprio con una Ferrari, non proprio velocissima, riuscì ad arrivare a punti in Olanda e in Inghilterra mentre in Italia, galvanizzato dall’aria di casa conquistò il gradino piu basso del podio e il terzo posto finale in classifica mondiale.
Ma il pilota della Ferrari era anche un play boy degno dei migliori rotocalchi, i flirt con Sandra Milo o con Edy Campagnolo facevano da cornice a una carriera che pareva inarrestabile.
Ma ecco che il destino fa girare le sue porte, Castellotti incontra Delia Scala e se ne innamora, ricambiato, perdutamente.
Travolta dalla passione, Delia Scala, non ci pensò due volte e si recò da Ferrari per chiedergli di far smettere di correre Eugenio. Ferrari laconico ribattè all’attrice che proprio l’essere pilota così spericolato aveva fatto battere il suo cuore e che non se la sentiva di frantumargli l’illusione di un amore così intenso.
A marzo, nel 1957, mentre la coppia si trova a Firenze per uno spettacolo che la soubrette doveva recitare con Walter Chiari, il pilota venne richiamato a Modena per collaudare il prototipo di una Ferrari sport. Castellotti, fedele soldato, risponde all’ordine e vola da Firenze a Modena dove la squadra lo aspettava sul circuito di prove.
Sul finire delle stesse, forse la stanchezza o un guasto meccanico, nessuno lo ha mai chiarito, la rossa volò fuori pista uccidendo il pilota sul colpo.
L’oscuro presagio che albergava l’animo di Delia Scala si è avverato, ma lui continuerà a vivere nel suo cuore.